Di Pietro Pinna *
Parliamo qui della persuasione di sé, persuasione intima, non della persuasione verso gli altri
– semmai ricordando quanto su quest’ultima, dopo averne illustrato le forme lecite, limpidamente razionali, Aldo Capitini pose quest’avvertimento: “Noi dobbiamo lasciar fuori dalla nostra considerazione tutte quelle forme di persuasione che sono, sì, nell’apparenza, senza violenza, ma che nella sostanza sono seduzioni e coercizioni, come si dice, morali.
Una tecnica nonviolenta non può contraddire alla definizione stessa della nonviolenza come apertura alla esistenza, alla libertà, allo sviluppo di ogni individuo, cioè come proposito di considerare l’altro come fine, e non come mezzo”.
Per stare alla persuasione intima, alla fede pratica del proprio orientamento spirituale, ricordo
di essermi trovato ad usare questo termine in uno scritto di giustificazione del mio rifiuto assoluto a prestare il servizio dell’uccisione militare. La devastante esperienza della guerra vissuta negli anni della prima giovinezza aveva fatto un deserto di quel mondo di valore che costituisce il senso e il destino della vita umana, e miserevolmente naufragati in quella prova nefanda i poli istituzionali di riferimento che si vantavano depositari e artefici di quegli ideali. In quel vuoto, pur sempre continuando a credere nella verità di un mondo di valore, non ebbi che da ancorare la mia tensione spirituale all’intimo, all’autorità della coscienza individuale quale prima e certa fonte di verità, in ciò che pur sempre da essa scaturiva di autentico, di incontrovertibile e di doveroso.
Ne scrivevo: “La prima verità era di darmi senza riserve solo a ciò di cui fossi assolutamente persuaso, quindi personalmente e pienamente responsabile: assunzione di responsabilità su cui poi saper star saldo e poter difendere in ogni evenienza e di fronte a chiunque, appunto perché fornita di intima persuasione”.
Nel corso della vicenda penale dell’obiezione di coscienza, l’intima persuasione si trovò al varco di una delle sue prove più stringenti nel confronto con una diversa contrastante professione di fede religiosa.
Isolato nel carcere in attesa del processo, venuto lì anche il cappellano militare cattolico a contestare la sua scelta, a mostrargli che Dio medesimo per bocca della sua Chiesa considerava quel servizio militare del tutto lecito, per non dire doveroso, l’obiettore persuaso è condotto a dialogare direttamente con quel Dio stesso, finendo per dire: “Secondo i tuoi rappresentanti, che mi portano a testimone la tua Chiesa con la sua teologia della guerra giusta, Tu avresti un’idea diversa dalla mia. Per la mia persuasione per quanto modesta essa sia, le ragioni che le vengono contrapposte non sono valide, anzi sono irreligiose. Non resta che lasciare al volgere dei fatti il giudizio su quale delle nostre diverse posizioni sia più meritevole. Io al presente sono a questo punto, e non posso altrimenti”.
Lungo la traccia di questa esperienza vissuta, vediamo di enucleare sinteticamente alcuni caratteri distintivi della persuasione intima, della coscienza persuasa.
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L’intimo persuaso è il fulcro delle scelte concernenti il valore (ciò che importa sommamente,
che informa e dà senso alla vita umana), l’elemento che ne assicura la purezza e serietà e la
sostanza ben maturata e salda.
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L’atto della persuasione si distingue in quanto, svincolato dal tempo usuale, si dà tutto nel
presente, qui e subito, senza rinvii ad un mondo ultraterreno o ad un termine storico finale.
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La priorità, il primato della scelta di valore spetta alla coscienza persuasa, prima e sopra
qualsivoglia autorità tradizionale riconosciuta (da cui possono promanare dogmi e divieti
inaccettabili, “fuori dal cuore intimo”, che non tengono conto della libertà – supremo distintivo
valore dell’uomo -, così coartata da una legge “che non si fa persuasione ma comando astratto”.
D’altronde, la coscienza persuasa non viene a porsi come solipsistica, arbitraria ed egoistica,
costituita quale essa è da un insieme di direttive di valore universale (la persuasione
nonviolenta, fondata sull’impegno della non uccisione, della nonmenzogna, della costante
onestà e dedizione, volta al benessere e allo sviluppo nel meglio di tutti).
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Fornita di intima verità la persuasione ha in sé la forza di mantenersi salda nella scelta
posta in atto, assumendosene il persuaso tutta la responsabilità, nella considerazione che
l’eventuale sacrificio che dal mondo possa derivargli è del tutto compensato dalla serenità
dell’animo per il valore affermato.
Detto altrimenti, la persuasione è la percezione chiara, spontanea e diretta della realtà, libera
dai mille condizionamenti inconsci o indotti che frappongono una barriera tra l’io intimo e il mondo da cui confusione e conflitto, isolamento e separazione, svianti dall’autenticità della vita.
Nella sua consapevolezza attuale e vigile della realtà, la persuasione viene a trovarsi in una
condizione non statica e ripetitiva, ma sempre nuova, fresca e creativa, quale è la vita autentica,
tessuta di relazione e di comunione, nell’unità e nell’amore con tutto e con tutti.
* Vive a Firenze. Obiettore di coscienza nel 1949, è stato il collaboratore di Aldo Capitini nella nascita e nella conduzione del Movimento Nonviolento.
Autore del libro “La mia obbiezione di coscienza”, Verona, Movimento Nonviolento, 1994.