Festa

La Festa e la danza dei beni comuni

Di Giuliana Martirani

“Il cristianesimo è trasformare la tragedia della vita in una festa”, diceva negli anni ’70 Suor Maria Romero, beata salesiana nicaraguense.
Ma cos’è la festa e dov’è la festa in una civiltà così “musona”, cupa e guerrafondaia come la nostra?
La festa è il banchetto del Regno di Dio, il regno di giustizia e di pace, pardon le repubbliche di giustizia e di pace, quelle in cui c’è finalmente la felicità per tutti, quella del Discorso della Montagna: la felicità dei poveri e degli afflitti, di quei milioni, pardon miliardi ormai di impoveriti e di afflitti che non possono dire: “Ma com’è bello vivere… che festa è la vita…!”.
La festa è il banchetto dell’umanità: risorse per tutti, in benefica e pacifica condivisione fraterna.
Innanzitutto le risorse del creato, i manufatti di Dio, quelli dei primi sei giorni del creato che con
la sua parole fece e disse “è cosa buona”, ottimo ingrediente per il banchetto della vita, la festa della vita.
Beni comuni per tutti!

La Festa di Madre Terra bene comune.
Una terra su cui essere inquilini e non proprietari. Una terra bene comune e non come quelle difese da palizzate e paramilitari di latifondisti, oligarchie e multinazionali. Una terra che ritorni con quella cosa così ovvia per noi che è la riforma fondiaria da noi pretesa e per gli altri ignorata, a quelli che sono resi Senza Terra dall’avidità produttiva di alcuni e dal consumismo famelico di altri che ne sprecano smodatamente i prodotti.
Una terra bene comune di tutti senza confini murali e virtuali che dividono il territorio in terre dei ricchi e terre dei poveri, nord e sud, centri e periferie, terre di padroni e riserve di indiani o immigrati, terre paradisi fiscali e terre maledette di senza tetto, senza lavoro, senza dignità.
Una terra bene comune di tutti senza confini murali e virtuali che dividono il territorio in terre di
privilegiati (che si difendono, ora, le ingiuste ricchezze fatte sul lavoro di “altri”) e le terre di
quegli stessi “altri” cui prima si è fatto un apartheid urbano (ma erano utili alla produzione) e olra si fa un apartheid nazionale, pardon una devolution, separati in casa (“voi fatevi gli affari vostri e noi ci occupiamo di borsa e finanza”).
La festa della terra condivisa, finalmente bene comune di tutti come il primo giorno della casa dell’uomo: il Giardino di Eden, una terra da custodire l’uno per l’altro in benevola efraterna reciprocità. La festa di una terra Adamah da trattare da madre e non matrigna, matrice di Adam fatto di terra e acqua, anch’esso come sua madre, la nostra madre terra che a noi di terra e acqua, come lei formati, ci alimenta e ci sostiene.
Ma nella festa delle vita, la terra non è più bene comune da tempi immemorabili. Non restavano che i popoli nativi a documentare all’umanità immemore i giorni antichi di quando la terra era bene comune. Nel nostro scorcio di secolo anche questa memoria è stata cancellata, cancellando una razza, quella rossa e cancellando i popoli nativi che non volevano possedere la terra (“Ma come potete possedere la terra? Si chiedeva Capriolo Zoppo) e quelli nomadi accompagnati dallo spocchioso disprezzo di noialtri tutti stanziali.

La festa di frate foco bene comune

E’ il fuoco per l’avventura tecnologico-industriale a possedere quegli agi che affrancassero tutti gli uomini (non solo i più furbi e gli altri invece schiavi) dal duro lavoro. Quel fuoco che consentisse di terminare la creazione iniziata da Dio per trasformare “sorella roccia rame” in “fratello filo elettrico”.
Ma quel fuoco si è trasformato in atomo e petrolio maledetto che alcuni rende straricchi e potenti ed altri cadaveri o rifugiati, spostati di terra in terra, sfollati ed esiliati perchè nati su “terre sbagliate” troppo strategiche.
Ma nella festa della vita, il fuoco non è più bene comune da tempi immemorabili. Da quando Prometeo lo rubò agli dei, accaparrandosene lui la proprietà e per questo atto infame fu dagli dei condannato ad essere divorato da aquile sui monti della Scizia.
E invece volevamo a ancora vogliamo la festa del fuoco condiviso, un fuoco per stare caldi tutti e non solo alcuni con eccessivi impianti di riscaldamento e altri a batter i denti in infinite marce di sfollati, cacciati dalle loro terre maledette perchè troppo ricche di petrolio.
Fratello foco per fare festa insieme e insieme ballare la danza della vita.

La festa di sorella acqua bene comune.

L’acqua diritto per tutti e bene comune e non bene economico, privatizzato e petrolizzato.
L’acqua delle sorgenti e dei fiumi e non quella delle alluvioni e degli straripamenti devastatori
per l’avidità dei cementificatori.
L’acqua dei pozzi condivisi e non quella dei pozzi e dei fiumi occupati e dichiarati zona di sicurezza nazionale che rende alcuni legittimi coloni su territori altrui e consumatori di fiumi altrui ed altri invece controllati ospiti del proprio territorio.
Ma nella festa della vita l’acqua dal marzso del 200 non è più bene comune, ma bene economico da privatizzare, vendere e farci degli ottimi idrobusinnes.

La festa di frate aire bene comune.

L’aria da condividere nel continuo atto del respirare senza sosta di miliardi di essere del mondo umano animale e vegetale e minerale. L’aria pulita e non quella dei protocolli non firmati per l’avido calcolo degli inquinatori impuniti nè quella invasa dagli invisibili veleni a Chernobyl o a Marghera. La festa di frate aire, così ovvio nel suo venir fuori dall’albero della vita del Giardino di Eden che ci alimenta con le sue scorie che diventano ossigeno per noi.
Ma nella festa della vita, questo invisibile ma preziosissimo bene è ancora forse per poco bene comune.

La festa allora è davvero il banchetto della vita che cerchiamo di non dimenticare ogni domenica, nel banchetto domenicale, il nostro stare insieme a riposare a ridere e a scherzare raccontandoci gioie che diventano risata comune e dolori che si trasformano in comune soluzione.
La festa è il pane condiviso e il cibo ben curato, non fast ma slow, non contaminato ma casto come l’aveva pensato il Creatore che disse i primi giorni del Creato: “è cosa buona”.
La festa è il bicchiere di vino per brindare e augurarsi reciprocamente cose buone, vita lunga, problemi risolti, e soprattutto amore e affetti felici.
La festa è questo banchettare insieme, è il pane e il vino che stanno lì a garanzia di un patto d’amore che ci stiamo scambiando: il pane della giustizia e della condivisione, perchè cum-panis di cammino, compagni nel pellegrinaggio della vita, e il vino della pace e della pienezza fraterna.
La festa è questo stare insieme micro e macro; la piccola famiglia, gli amici e i compagni di impegno e di cordata e la grande famiglia umana. Che ha già molte anticipazioni nella festa della domenica e in quella di nozze, nel battesimo del figlio e nel compleanno con le candeline, nella preghiera in chiesa e il canto di montagna e nella danza dei ragazzi in discoteca.
La festa è sognare insieme utopie impossibili e futuri improbabili me che invece diventano poi certi a sedersi intorno ad un tavolo risolvendo insieme un difficile lavoro.
La festa è perdersi negli occhi dell’amato oppure fare chilometri solo per incontrare il sorriso di un amico e dirsi ciao.