M.L. King

Martin Luther King

La figura del leader del movimento per i diritti civili dei neri attraverso cinque momenti della sua vita.

Il boicottaggio degli autobus a Montgomery

Il 1° dicembre 1955 a Montgomery, in Alabama, Rosa Parks, una signora nera di mezza età, salì su un autobus di linea, seguì l’indicazione “Gente di colore” e prese posto nella quinta fila a sinistra, dietro ai posti riservati ai passeggeri bianchi. L’autobus ben presto si riempì. Il conducente invitò allora a far posto ai “signori bianchi” e tre neri si alzarono. Rosa era stanca, aveva appena terminato una lunga giornata di lavoro, le facevano male i piedi e decise di rimanere seduta. Il conducente la invitò esplicitamente ad alzarsi, ma la donna rifiutò, senza alzare la voce, perché sapeva che altrimenti avrebbe offerto un pretesto per farla scendere. L’autista si allontanò e ritornò dopo poco accompagnato da due poliziotti, i quali afferrarono la donna e la trascinarono via. L’autobus ripartì e la donna venne condotta al posto di polizia, dove il funzionario di turno compilò il modulo di arresto con l’accusa di violazione delle norme municipali regolanti la disposizione razziale dei posti sugli autoveicoli pubblici.

Rosa telefonò a E. D. Nixon, presidente dell’N.A.A.C.P., il quale la raggiunse al commissariato, pagò la cauzione e la riportò a casa. Quindi avvisò dell’accaduto Jo Ann Robinson, presidentessa del Consiglio politico delle donne di Montgomery, la quale propose a Nixon di lanciare un appello alla popolazione di colore per boicottare i mezzi pubblici in segno di protesta. Alle cinque del mattino Nixon telefonò ai due pastori della città per chiedere il loro appoggio. Uno dei due era Martin Luther King, il quale esitò e chiese di poter riflettere, ma quaranta minuti dopo, dietro le insistenze di Nixon, accettò di mettere a disposizione la sua chiesa come luogo di incontro della comunità nera per poter discutere la questione.

Nelle prime ore del pomeriggio erano già stati distribuiti quarantamila volantini in cui si invitava a non utilizzare l’autobus lunedì 5 dicembre. L’appello al boicottaggio era già stato lanciato prima che avesse inizio la riunione, durante la quale King si tenne in disparte, suscitando il lamento di Robinson. Solo le chiese disponevano dell’organizzazione necessaria per mobilitare un alto numero di neri e alla fine i pastori promisero di dare risalto al boicottaggio nei sermoni della domenica e di ristampare all’interno delle singole comunità ecclesiastiche il volantino.

Alla domenica nelle chiese affluì una massa di gente e i pastori raccolsero applausi scroscianti. Nel pomeriggio King lesse in articolo sul “Montgomery adviser”, in cui si bollava il minacciato boicottaggio come un’azione di razzismo nero e ciò sollevò i suoi dubbi. Alla fine decise che il boicottaggio era un tentativo di spiegare ai bianchi che non era possibile collaborare oltre con un sistema malvagio.

In genere in una giornata lavorativa utilizzavano i mezzi pubblici ventimila neri. Quel lunedì furono contati solo dodici viaggiatori neri.

Intanto fu processata Rosa Parks, che fu riconosciuta colpevole e le venne inflitta una multa di dieci dollari. Il suo avvocato presentò ricorso. Qualche ora più tardi alcune persone si incontrarono nella chiesa di King ed egli, colto di sorpresa, fu eletto presidente della Montgomery Improvement Association. “Tutta la faccenda mi si presentò così inaspettatamente, che non ebbi tempo di rifletterci sopra”, affermò King. “Io non avevo né iniziato né proposto quella protesta. Reagii semplicemente al richiamo del popolo che chiedeva un portavoce.”

L’assemblea preparò il testo delle richieste da proporre all’azienda dei trasporti, tra le quali si chiedeva “che i viaggiatori possano prendere posto secondo l’ordine di salita, i neri a cominciare dalle ultime file”. Si trattava di richieste indubbiamente moderate, che non mettevano in discussione il principio della separazione razziale.

Quella sera il neo presidente tenne un discorso appassionato di fronte ad una folle enorme. Ricordò molti casi di ingiustizie subite da neri sui mezzi pubblici. Poi disse: “Siamo qui per dire a coloro che ci hanno maltrattato per tanto tempo che noi siamo stanchi. Siamo stanchi di essere segregati e umiliati. Siamo stanchi di essere presi a calci in maniera brutale, di essere oppressi. Non abbiamo altra alternativa che la protesta. Per molti anni abbiamo mostrato una pazienza sorprendente. A volte abbiamo dato ai nostri fratelli bianchi l’impressione che il modo in cui venivamo trattati ci piacesse. Ma questa sera siamo venuti qui per dire che la nostra pazienza è finita, che saremo pazienti solo quando avremo libertà e giustizia.”

L’assemblea approvò all’unanimità la proposta di continuare il boicottaggio ad oltranza, fino a quando fossero state rispettate le richieste della popolazione nera, la quale continuò l’azione di protesta per trecentottantasei giorni, organizzando un sistema di trasporti alternativo. In questi mesi King acquistò una statura di rilievo pubblico. Quotidiani di tutto il mondo inviarono giornalisti nella città sul fiume Alabama e arrivarono le televisioni a riprenderlo. Il nuovo media, sufficientemente sviluppato negli Stati Uniti a quell’epoca, contribuì a rendere Martin Luther King una figura di rilevanza nazionale. Contemporaneamente King e la sua famiglia furono bombardati da minacce di morte e ricevettero un’infinità di telefonate piene di insulti e di volgarità. La sua casa subì un attentato dinamitardo in cui moglie e figlio si salvarono per miracolo. King ebbe dubbi, provò paura, ma trovò nella sua fede religiosa la forza di continuare. Intanto venne accusato di frode fiscale; quindi arrestato per eccesso di velocità. Era la prima di una lunga serie di detenzioni. Una folla adirata si adunò davanti alla prigione chiedendo la scarcerazione del pastore e la polizia, dietro pagamento della cauzione, lo rilasciò.

King volò da una parte all’altra degli Stati Uniti per mobilitare l’opinione pubblica e per raccogliere fondi per la causa. Intanto le autorità municipali intentarono un processo per “trasporto di viaggiatori non autorizzato” contro il Movimento per i diritti civili, chiedendo al tribunale un provvedimento ingiuntivo temporaneo contro il sistema di automobili private che offrivano passaggi gratuiti ai neri. King cercò di trattare con l’azienda, che però si dimostrò irremovibile. Il momento era delicato, perché se la Corte locale avesse dato ragione alle autorità municipali, il boicottaggio sarebbe giunto alla fine, in quanto non si poteva chiedere alla popolazione nera di andare e tornare tutti i giorni dal lavoro a piedi. Proprio in quel momento però la Corte Suprema, alla quale avevano fatto ricorso gli avvocati della N.A.A.C.P., dichiarò incostituzionale la separazione razziale sui mezzi pubblici di trasporto di Montgomery e le norme locali di segregazione delle Stato dell’Alabama.

La comunità di colore si preparò al trasporto integrato simulando sui banchi della chiesa alcune scene di situazioni conflittuali. La popolarità di King era alle stelle e all’inizio del 1957 la sua fotografia campeggiò sulla copertina di “Time”. Il boicottaggio ebbe termine il 21 dicembre 1956 e nel giro di una settimana il trasporto integrato divenne una pratica comune a Montgomery. Si verificarono soltanto due piccoli incidenti di intolleranza.

La vittoria di Montgomery non fu merito soltanto di King e dei suoi uomini. Fin dall’inizio i grandi media avevano appoggiato il Movimento per i diritti civili, assecondando un nuovo atteggiamento che andava delineandosi nella società. Anche il sound nero contribuì a diffondere una nuova cultura di tolleranza. Alla fine degli anni Cinquanta, gli Stati Uniti si trovarono di fronte una nuova generazione di giovani che attraverso il rock and roll erano approdati al Movimento per i diritti civili. Senza la beat generation il Movimento di King dopo Montgomery si sarebbe arenato.

Spunti di riflessione

La protesta partì dalle donne.

King non cercò di capeggiare la protesta, ma lo fece quasi suo malgrado.

Il boicottaggio fu accompagnato da azioni legali.

Il boicottaggio ebbe successo perché fu un’azione di massa.

La protesta fu sempre e inequivocabilmente nonviolenta.

La popolazione nera coinvolta si preparò a situazioni conflittuali.

I grandi media furono determinanti per la buona riuscita dell’azione.

La coscienza civica è pronta ad accogliere i cambiamenti legislativi che in parte sono già patrimonio della cultura civile.

E’ solo quando la notte è più buia che si vedono le stelle.

Birmingham

Birmingham era un centro industriale dell’Alabama a un’ora e mezzo di automobile a nord di Montgomery. Nel 1957 erano stati attuati in città diciassette attentati dinamitardi contro le chiese dei neri senza che alcun responsabile fosse mai stato individuato e il Ku Klux Klan era penetrato cinquanta volte nel quartiere di colore.

Fred Shuttlesworth, un collega di King e suo amico dai tempi di Montgomery, lo aveva chiamato a Birmingham, ben sapendo di imbarcarsi in un’impresa a rischio. Durante una riunione preparatoria King aveva detto ai suoi collaboratori: “Ci tengo molto che ciascuno di voi rifletta attentamente prima di decidere se partecipare alla campagna. Io prevedo che qualcuno dei presenti non tornerà a casa vivo. Quindi pensateci bene.”

La campagna di disobbedienza civile fu preparata sia reclutando alcune centinaia di volontari con il compito di coinvolgere la popolazione nera, sia organizzando conferenze tenute da King in ogni dove per raccogliere i fondi necessari.

Il giorno d’inizio della campagna fu mercoledì 3 aprile 1963 e la sera precedente King indisse un raduno di preghiera. Al mattino trenta volontari presero posto ai banchi delle tavole calde dei cinque grandi magazzini più prestigiosi della città e chiesero di essere serviti. Furono respinti e venne loro intimato di lasciare il locale. Quando si rifiutarono di abbandonare i loro posti, la polizia sopraggiunta ne portò in prigione ventuno. Quella sera King fece appello alla popolazione nera perché boicottasse i grandi magazzini dei bianchi in segno di solidarietà con gli arrestati. I primi tre giorni della protesta si svolsero in modo quasi pacifico e furono effettuati soltanto trentacinque arresti. Il sabato quarantacinque volontari si recarono in marcia al municipio insieme al pastore Shuttlesworth per presentare protesta contro l’arresto dei sostenitori dei diritti civili. Quarantadue di loro furono fermati.

La domenica il fratello di King, Alfred-Daniel, che era stato chiamato come pastore a Birmingham, si spinse fino in centro con una marcia di preghiera. Fu arrestato e spedito in prigione insieme ad altri venticinque dimostranti. Il ministro della giustizia Robert Kennedy fece pervenire a King un messaggio personale, in cui gli consigliava di smorzare il tono della protesta giacché, si esprimeva, “i diritti civili non si conquistano in piazza”.

King era deciso ad ignorare l’ingiunzione emessa dal tribunale locale che vietava qualunque altra forma di protesta e organizzò per il venerdì santo una marcia alla prigione insieme a cinquanta volontari; negli ultimi cinque giorni circa cinquecento neri erano stati rinchiusi in carcere. La polizia ben presto intervenì e condusse i dimostranti in prigione. Per King si trattava del tredicesimo arresto. In carcere scrisse la Lettera dal carcere di Birmingham, che era una risposta agli ecclesiastici che reputavano che i neri avrebbero fatto meglio a sfruttare le loro possibilità legali, anziché impiegare tutto quel tempo a tenere dimostrazioni. King scrisse: “Quando attraversi il Paese e sei costretto a dormire notte dopo notte negli angoli scomodi di un’automobile perché non c’è un motel che ti accolga; quando giorno dopo giorno vieni umiliato dai cartelli provocatori ‘per bianchi’ e ‘per gente di colore’; quando non hai più un nome perché ti chiamano nigger, non hai altro appellativo che boy, qualunque sia la tua età, e il tuo cognome è comunque ‘John’; quando a tua moglie e a tua madre non viene mai riconosciuto il titolo di riguardo Mrs.; quando il fatto di esser nero ti tormenta di giorno e ti perseguita di notte e ti costringe a camminare sempre in punta di piedi; allora bisogna comprendere perché a noi risulti tanto difficile aspettare.”

Sabato 20 aprile King fu rimesso in libertà dietro pagamento della cauzione e il successivo processo si concluse con una multa di cinquanta dollari. Gli organizzatori della manifestazione decisero allora di coinvolgere i ragazzi. Il 2 maggio gruppi di cinquanta giovani partirono dalla chiesa dove avevano ascoltato un discorso di King. La polizia era schierata con manganelli, caschi, scudi e cani al guinzaglio. I ragazzi riuscirono però ad aggirare il blocco e a raggiungere il centro, dove si riunirono in un corteo che avanzò verso il municipio. La polizia rincorse i manifestanti e fermò la marcia, arrestando novecentocinquantanove bambini e ragazzi, che furono trattati in maniera umiliante e violenta.

King indisse per il giorno seguente un’altra manifestazione. Cinquecento ragazzi lasciarono l’edificio della chiesa prima che la polizia arrivasse a sbarrare il portone. Gli altri si defilarono dalle uscite laterali. La polizia attaccò i dimostranti con gli idranti e scatenò i cani contro di loro. Per reazione sui tetti delle case circostanti comparvero giovani neri che cominciarono a prendere di mira la polizia con un lancio di sassi. La campagna nonviolenta rischiava di precipitare. Gli organizzatori riuscirono a salvare la situazione invitando ancora una volta a non fare uso della violenza.

Il corteo dei ragazzi suscitò aspre critiche, poiché King e gli organizzatori della protesta furono accusati di bieco cinismo e di abusare dei giovani. King rispose affermando che un bianco non era in grado di farsi un’idea di che cosa significava essere un bambino nero che cresceva in una realtà come quella di Birmingham.

Dopo le dimostrazioni dei ragazzi, la popolazione di colore continuò le manifestazioni e tutti i giorni furono organizzate marce verso il municipio, nonostante i manganelli e gli idranti della polizia. Il 6 e 7 maggio furono arrestate duemila persone. Le carceri erano sovraffollate. Robert Kennedy inviò a Birmingham un incaricato speciale, con il compito di convincere i commercianti bianchi a trattare con King per giungere ad un’intesa. King avanzò quattro richieste: l’abolizione della segregazione nelle tavole calde, nei bagni, negli spogliatoi e alle fontanelle dell’acqua potabile dei centri commerciali; l’assunzione di neri, con la relativa possibilità di fare carriera, all’interno dell’amministrazione comunale e delle aziende commerciali; la sospensione di tutti i procedimenti penali in corso contro i dimostranti; l’istituzione di un comitato misto di bianchi e neri per programmare altre misure per l’abolizione della segregazione. Agli occhi della città, però, nessuna di queste condizioni poteva esser oggetto di trattative. Intanto sulle strade la protesta continuava e si ebbero numerosi feriti. Volarono pezzi di mattone, bottiglie e sassi. King con il megafono continuava a richiamare alla nonviolenza. Impressionati dal protrarsi della crisi, i rappresentanti della Camera di commercio avviarono trattative segrete con i responsabili della protesta. Il 9 maggio King fu di nuovo arrestato. Shuttlesworth, dimesso dall’ospedale dove era stato ricoverato a causa di un getto d’idrante, mise in campo mille volontari per occupare il centro cittadino, dove nel frattempo si erano schierati duemila soldati regolari. Intervenne allora Robert Kennedy in persona, che convinse dopo difficili trattative Shuttlesworth a rinviare la marcia al carcere al tardo pomeriggio e a sospenderla, qualora King fosse stato rilasciato. Il governo fece pressioni sul tribunale locale affinché King fosse immediatamente liberato dietro pagamento della cauzione e così avvenne. Lo stesso giorno i negoziatori bianchi si dichiararono disposti ad accettare tutte le condizioni richieste. L’autorità giudiziaria rilasciò tremila dimostranti detenuti, ma l’amministrazione comunale si rifiutò di riconoscere l’intesa raggiunta. Su richiesta del Consiglio comunale il Provveditorato agli studi allontanò dalle lezioni millecento ragazzi per partecipazione non autorizzata a dimostrazioni. Ma alla fine del mese il Supremo tribunale amministrativo destituì dall’incarico il Consiglio comunale.

L’effetto Birmingham si fece sentire e nel giro di dieci settimane il Ministero della giustizia registrò settecentocinquanta dimostrazioni in centottantasei città.

L’11 giugno John F. Kennedy si rivolse alla nazione con un discorso per conquistare il consenso dell’opinione pubblica sulla propria iniziativa di legge sui diritti civili. King aveva dimostrato che i diritti civili erano stati conquistati in piazza. Intanto a Birmingham ci furono attentati dinamitardi contro le case dei neri e scoppiarono disordini. King corse nella città e riuscì a calmare i neri. A settembre una bomba venne lanciata da una finestra nella chiesa dove King aveva fatto partire le manifestazioni dei ragazzi. Quattro ragazze nere fra gli undici e i quattordici anni, che stavano seguendo la lezione di catechismo, morirono. Nessun colpevole venne mai trovato. I genitori di una delle ragazze accusarono King della morte della loro figlia.

Spunti di riflessione

La campagna fu preparata accuratamente.

Per sostenere le iniziative c’è bisogno di fondi.

 

La grande marcia su Washington

Il mattino del 28 agosto 1963 duecentocinquantamila persone confluirono a Washington da tutte le parti del Paese. Passarono attraverso le strade cantando: “Black and white together”. Secondo le stime ufficiali, tra i dimostranti c’erano ottantacinquemila bianchi. Il presidente Kennedy stava cercando di far approvare la legge sui diritti civili e aveva sconsigliato di organizzare la grande marcia, poiché temeva che suonasse come un ricatto nei confronti dei delegati. King ribadì: “Di tutte le campagne alle quali io abbia partecipato è sempre stato detto che capitavano al momento sbagliato”. Tuttavia i dirigenti neri fecero di tutto per assicurare che la marcia risultasse una manifestazione pacifica. Duemila poliziotti neri di New York si erano offerti come volontari per il servizio di sicurezza. Joan Baez cantò l’inno del Movimento “We shall overcome” e milioni di telespettatori assistettero al corteo, che era lungo chilometri. Un gruppetto esiguo di nazisti statunitensi si fece notare ai margini della manifestazione. I dirigenti neri lessero le loro rivendicazioni, che avrebbero poi sottoposto al Presidente, alla Casa bianca, a conclusione del raduno: leggi efficaci per i diritti civili, finanziamenti federali per i programmi di integrazione, abolizione della segregazione in tutte le scuole pubbliche entro la fine del 1963, riduzione del numero dei delegati alla Casa dei rappresentanti per tutti gli Stati che limitavano il diritto al voto dei neri, richiesta di un’edilizia popolare pubblica, iniziative federali contro la sottoccupazione e l’abolizione di posti di lavoro, aumento del minimo salariale. King fu l’ultimo a parlare e pronunciò il famoso discorso ricordato con la sua affermazione “I have a dream”. Disse: Io ho un sogno: che un giorno sulle colline rosse della Georgia i figli degli schiavi e i figli degli schiavisti di un tempo possano sedere assieme al tavolo della fratellanza. Io ho un sogno: che un giorno persino lo Stato del Mississippi, uno Stato che sta languendo nella foga dell’ingiustizia e dell’oppressione, si trasformi in un’oasi di libertà e giustizia. Io ho un sogno: che un giorno i miei quattro figli potranno vivere in una nazione che non li giudicherà per il colore della loro pelle, ma per il loro carattere. Io ho un sogno.” La folla lo seguiva esclamando “Amen” e “Lodato sia il Signore” e lo interrompeva continuamente con applausi scroscianti. Durante la manifestazione non si verificarono incidenti.

Premio Nobel per la pace

Nell’ottobre 1964 il comitato per l’assegnazione dei premi Nobel scelse Martin Luther King come vincitore del premio Nobel per la pace. King ricevette la notizia in ospedale, dove era ricoverato a causa della fatica a cui si era sottoposto. Con i suoi trentacinque anni King era la persona più giovane a cui fino a quel momento fosse stato conferito il premio.

I suoi avversari si ribellarono all’iniziativa e avviarono una campagna denigratoria contro di lui. Un giornale del Sud scrisse: “La gente del Sud sa che, dove passa King, lascia violenza e odio.” Edgar Hoover, direttore dell’F.B.I., definì King “il più famigerato bugiardo del Paese”.

Alla cerimonia ad Oslo, King pronunciò un discorso, che concluse affermando che, quando sarà scritta la storia di quest’epoca, si dovrà rendere un tributo ai tanti “umili figli di Dio”, mai contati né menzionati, le cui sofferenze per la causa della giustizia hanno generato una nuova epoca, “una terra più bella, un popolo migliore e una cultura più nobile”. La cerimonia fu diffusa in eurovisione in tutta l’Europa occidentale. Era la prima volta che la gioventù potesse identificarsi in un premio Nobel. Nella realtà da incubo che i giovani stavano vivendo, il sogno di King diventava un nuovo simbolo di speranza.

Assassinio

Nel febbraio 1968 a Memphis le forze di polizia caricavano con sostanze chimiche e manganelli i netturbini neri in sciopero, che chiedevano il riconoscimento del loro sindacato, nuovi contratti di lavoro e l’istituzione di un ufficio per le conciliazioni. Il sindaco rifiutò le loro richieste. I netturbini allora entrarono in sciopero, ma le autorità comunali dichiararono illegale tale sciopero e fecero intervenire la polizia. Come reazione furono boicottati i negozi dei bianchi, fu organizzato un sit-in davanti al municipio e le chiese promossero assemblee di protesta. Dopo quattro settimane l’amministrazione cittadina ancora non dava segni di cedimento e allora venne chiamato in aiuto Martin Luther King, la cui presenza doveva essere una motivazione in più per i netturbini in sciopero. Inoltre avrebbe dato rilievo pubblico alla loro lotta. Egli parlò davanti a quindicimila persone, spronando i netturbini a continuare la loro lotta e invitando tutti i neri di Memphis a organizzare uno sciopero generale.

Per giovedì 28 marzo fu indetta una marcia, che si risolse in un fallimento, perché il corteo era avanzato di appena tre incroci quando cominciarono a volare sassi, sfondando le vetrine dei negozi. La polizia intervenne, duecentottanta dimostranti furono arrestati e un giovane morì per le ferite di arma da fuoco riportate. In città fu proclamato il coprifuoco notturno.

Il 4 aprile King si stava preparando in albergo prima di recarsi ad un comizio indetto per quella sera. Dopo essersi annodato la cravatta uscì sul balcone e scambiò alcune parole con un amico che stava lì sotto. La pallottola di grosso calibro lo fece schiantare di colpo. Colpì King sotto il labbro, gli spappolò il mento, rimase conficcata nelle vertebre cervicali e gli trapassò il midollo spinale. E’ probabile che King sia morto all’istante. I ghetti esplosero. Furono arrestate ventisettemila persone, tremilacinquecento rimasero ferite, quarantatré uccise e i danni complessivi ammontarono a cinquantotto milioni di dollari.

King aveva sempre saputo che quella sarebbe stata la sua fine. Nel discorso che aveva tenuto la sera prima, aveva detto: “Non so che cosa succederà adesso. Ma non è questo che mi interessa. Sono salito in cima alla montagna. Non sono preoccupato. Come tutti, anch’io desidero vivere a lungo. Ma tutto questo ora non mi preoccupa. Desidero soltanto compiere la volontà di Dio. Egli mi ha concesso di salire in cima alla montagna. Io ho guardato oltre e ho visto la Terra Promessa. Forse io non arriverò fino là con voi. Ma voglio che voi sappiate, questa notte, che noi insieme, come popolo, giungeremo alla Terra Promessa. Per questo oggi sono felice. No, non mi preoccupa più niente. Non temo nessun uomo. I miei occhi hanno visto l’arrivo del Signore, il suo splendore.”

Sergio Albesano