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Le news del Movimento Nonviolento

La città di Messina ha bisogno di acqua e verità; Il Governo invia l’esercito e diffonde menzogne

I messinesi sono stati vittime del dissesto idrogeologico, causato da decenni di cementificazioni, che ha provocato la frana responsabile della rottura dell’acquedotto. Il sindaco Accorinti ha affrontato la situazione emergenziale chiedendo lo stato di calamità, ma la risposta giunta dal governo è stata quella dellla militarizzazione. Come se fornire acqua, il bene primario, un diritto umano esistenziale, non fosse un compito specifico della protezione civile.
Dopo che governo e prefettura hanno ignorato per giorni una situazione drammatica che il sindaco nonviolento di Messina si è trovato a gestire da solo; dopo che nei giorni scorsi il governo ha riaperto la possibilità per il progetto del ponte sullo stretto, la coppia Renzi-Pinotti ha pensato bene di approfittare mediaticamente del disastro annunciando di mandare l’esercito. Pura retorica in malafede, buona solo a dar un’immagine decisionista e “muscolosa” di rilancio di una immagine “civile” dell’esercito, necessaria a giustificare le sempre più abnormi spese militari, e a dare uno “schiaffo morale” a quell’antimilitarista di Accorinti (sindaco indipendente non allineato con il partito del presidente del Consiglio), che osa presentari alle celebrazioni del 4 novembre con la fascia tricolore e la bandiera della pace. Ossia puro sciacallaggio della peggior specie, sulla pelle dei cittadini messinesi esasperati dal disagio.

I fatti, come li abbiamo verificati, sono questi:
Domenica 25 ottobre a causa del persistente maltempo è franata la montagna sopra Calatabiano, paese in provincia di Catania. La frana danneggia la tubatura dell’acquedotto del Fiumefreddo che rifornisce di acqua il comune di Messina. Le squadre di manutenzione messinesi vengono immediatamente inviate dal sindaco Renato Accorinti, ma il sindaco di Calatabiano interdice l’accesso all’area impervia e franosa per motivi di sicurezza. Lunedì i mezzi di scavo aprono finalmente una strada e si fa una stima dei danni che vengono giudicati riparabili in 24/36 ore. Ma il movimento franoso prosegue e mette in seria difficoltà i lavori. Nel frattempo, a Messina l’acqua dei pozzi autonomi e dell’altro acquedotto attivo viene razionata perché non è sufficiente a coprire i bisogni della città: l’Amministarzione cerca di dare alcune ore d’acqua a tutti, a rotazione. Il Comune dispone autobotti in tre punti di distribuzione cittadini e nessuna altra istituzione pubblica si fa viva, anche l’informazione nazionale non ha ancora prestato attenzione. Il primo tavolo tecnico è convocato della Prefettura solo giovedì 29, ma la situazione non si sblocca, mentre le riparazioni al Fiumefreddo proseguono tra la notte di giovedì e venerdì mattina. Nel pomeriggio di venerdì 30 i serbatoi urbani cominciano a riempiersi e l’acqua ricomincia a sgorgare dai rubinetti, mentre prosegue anche la distribuzione con le autobotti. Nel giro di un giorno o due la situazione sarà normalizzata. Senza bisogno dell’esercito, che arriverebbe a cose fatte e risolte.
I cittadini di Messina avrebbero bisogno di un governo capace di difenderli dalle vere minacce al Paese, come il dissesto idrogeologico del territorio, l’abusivismo che ne è la causa, le mafie che ne sono beneficiarie. Avrebbero bisogno di un governo che invece di acquistare i cacciabombardieri F-35 finanziasse adeguatamente una Protezione civile degna di questo nome al servizio delle comunità locali; che invece di inviare l’esercito a distribuire bottigliette, disponesse una difesa civile, non armata e nonviolenta della patria, strutturata e capace di organizzare “la meglio gioventù” al servizio del paese. Del resto non è un caso che tanti cittadini messinesi, la scorsa primavera, siano stati tra i firmatari della proposta di legge “Un’altra difesa è possibile”. E, primo tra essi, il sindaco nonviolento Renato Accorinti.
A tutti loro il Movimento Nonviolento è vicino, con affetto e solidarietà.

MOVIMENTO NONVIOLENTO
www.nonviolenti.org
www.azionenonviolenta.it

Violenze in Turchia, Medio Oriente e Nord Africa

Pubblichiamo il documento congiunto Mir e Movimento Nonviolento, diffuso dopo l’attentato alla manifestazione pacifista di Ankara in Turchia del 16 ottobre 2015

Ancora una volta una manifestazione per chiedere pace e giustizia è stata insanguinata da una terribile strage in Turchia.

Nell’esprimere tutta la nostra solidarietà a chi in Turchia ha pagato con la vita il desiderio di pace e giustizia, vogliamo ribadire che le uniche armi che conosciamo e approviamo sono la nonviolenza, il disarmo, il riconoscimento dei diritti, il perdono, il servizio agli oppressi e ai poveri, la ricerca del bene comune, con la rinuncia da parte di tutte le parti in conflitto ad ogni sopraffazione, avidità, calcolo di potere e interesse particolare.

In Iraq, Siria, Afghanistan e Libia, dopo il fallimento degli interventi militari che non hanno prodotto altro che migliaia di morti e la nascita e il rafforzamento di nuovo terrorismi, l’unica soluzione che viene adombrata sono ancora dei bombardamenti, che causeranno altri morti di civili e sete di vendetta.

In Israele / Palestina la violenza e l’odio continueranno a fare vittime e terrorizzare gli innocenti. La ricerca di una soluzione giusta, che preveda almeno il ritorno dei palestinesi ai loro territori e la sicurezza per Israele, non riesce ad affermarsi e nuovo sangue scorrerà in quelle terre, finché non saranno riconosciuti i diritti dei palestinesi e non si interromperà la catena dell’odio e della vendetta, con il perdono e la riconciliazione

Ciascuno nel proprio ruolo e responsabilità si opponga a questo ennesimo tragico errore e favorisca una soluzione negoziata attraverso l’ONU, che è l’unico organismo legittimato a poter decidere di intervenire dall’esterno nelle aree di conflitto, con interventi di polizia internazionale, sulla questione siriana e più in generale sull’area del Medio Oriente e nord Africa.

M.I.R. – Movimento Internazionale della Riconciliazione
www.miritalia.org
Movimento Nonviolento
www.azionenonviolenta.it

Ecco dove sono i pacifisti. Chi li cerca li trova.

Ci mancava Beppe Grillo ad intrupparsi nella schiera di coloro che ad ogni rumor di cannoni iniziano a recitare la giaculatoria “ma dove sono i pacifisti?”, salvo poi chiudere le orecchie per non ascoltare la risposta, perché, a costoro, dei pacifisti come delle vittime dei conflitti, non interessa proprio nulla, presi come sono dalla vis polemica che gli serve solo per affermare se stessi.
Per chi invece fosse davvero interessato alla risposta, ecco alcune tracce per scoprire dove sono i pacifisti, i disarmisti, i nonviolenti, e soprattutto cosa stanno facendo.
Intanto c’è da dire che chi non li trova, li cerca nel posto sbagliato. Alimentato dalla cosiddetta grande stampa , è ancora forte lo stereotipo del pacifista come di colui che se ne sta zitto e buono a casa, e poi, quando scoppia un conflitto armato, corre in piazza con la bandiera arcobaleno a protestare ed invocare la pace. Un pacifismo inane, da milleottocento, già superato storicamente, ad inizio novecento, da Tolstoj e da Gandhi, che voltarono pagina passando dal pacifismo imbelle alla nonviolenza attiva. Parafrasando Lenin con Gandhi si può dire che “il pacifismo codardo è la malattia infantile della nonviolenza coraggiosa”. Sarà bene, quindi, che i critici del movimento pacifista odierno si aggiornino, poiché sono rimasti indietro di oltre un secolo.
Oggi il movimento pacifista e nonviolento maturo non si fa dettare l’agenda politica dai titoli di giornale, dagli spot governativi, dalle dichiarazioni estemporanee di qualche Ministro della Difesa; segue una propria strategia, conduce le proprie campagne, costruisce e allarga reti di relazioni, agisce dentro i conflitti reali. Non lo si trova nelle piazza a sbraitare o a fare marce autoreferenziali. Lo si trova a lavorare sul campo, dentro ai movimenti che vogliono cambiare la realtà in meglio.
Prima traccia. Basterebbe seguire l’intensa attività della Rete Italiana Disarmo per rendersi conto della capacità di studio, elaborazione ed analisi che i pacifisti possono mettere in campo: dal controllo dell’export di armi, alle denunce sulle falle del progetto F35. La Rete ha scoperchiato il caso della fornitura di armi italiane all’Arabia Saudita, coinvolta nel conflitto nello Yemen che sta provocando una vera e propria catastrofe umanitaria: la legge sull’export di materiale militare (185/90) vieta espressamente forniture verso paesi in guerra, e su questo si è aperto un confronto tra pacifisti e governo.
Seconda traccia. E’ finalmente in dirittura d’arrivo l’avvio del progetto sperimentale dei Corpi Civili di Pace (sul quale i nonviolenti hanno lavorato per dieci anni), che prevede l’impiego di 1500 giovani del servizio civile per tre anni, per attività di pacificazione in aree di conflitto o a rischio; un decreto governativo finanzia questa realtà che concretizza l’idea di vere missioni di pace, civili e non militari.
Terza traccia. La Campagna per la Difesa civile non armata e nonviolenta ha visto la parte migliore del pacifismo italiano coinvolta per la raccolta di firme a sostegno della Legge di iniziativa popolare per istituire un Dipartimento che possa organizzare e finanziare tutte quelle forme di difesa della patria alternative alla difesa armata. Ora quella Legge è all’attenzione del Parlamento, che ha finalmente la possibilità di dare piena attuazione all’articolo 52 della Costituzione.
Quarta traccia. Con il Tavolo interventi civili di pace, il pacifismo italiano attua anche una politica di relazioni e solidarietà internazionale. Volontari italiani partecipano a progetti di riconciliazione e soluzione nonviolenta dei conflitti in luoghi difficili come Baghdad; dall’1 al 3 ottobre 500 attivisti si sono ritrovati nei giardini Abu Nawas, sulle sponde del Tigri a Baghdad, nel Forum Sociale Iracheno sulla Pace e la Coesistenza. E’ un modo per aiutare la nascita e lo sviluppo dei movimenti nonviolenti anche in contesti di guerra.
Quinta traccia. Organizzazioni come la Conferenza nazionale degli degli Enti di servizio civile e il Forum nazionale Servizio civile, sono fortemente impegnate in un confronto con il governo per la riforma del Terzo settore, nella quale trovi spazio un servizio civile per tutti coloro che chiedono di parteciparvi, costruito con il coinvolgimento delle formazioni sociali e dei livelli istituzionali della Repubblica, in modo tale che i giovani del servizio civile siano protagonisti nell’attuare il dovere costituzionale della difesa della Patria, che non è solo difesa militare.
Sono solo cinque esempi. Molti altri se ne potrebbero fare. Chi vuole documentarsi seriamente può farlo anche consultando le riviste del movimento, come Azione nonviolenta e Mosaico di pace.
Ma non voglio eludere il punto decisivo del dibattito sul pacifismo: “come si fa, con la nonviolenza, a contrastare il terrorismo dello Stato Islamico?”. La domanda è seria, e necessita di una risposta seria. Non si è mai investito responsabilmente, dunque anche finanziariamente a livello istituzionale, per costruire strutture capaci di agire sul piano internazionale per superare positivamente i conflitti. Anzi, si è agito e finanziato esclusivamente un tipo di intervento, quello militare, insistendo soprattutto sui bombardamenti aerei. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: guerre diffuse in espansione, aumento del terrorismo che avanza. Allo stato attuale non abbiamo dunque nessuna consistente forza nonviolenta da mettere in campo, mentre l’unica risposta possibile, perché l’unica preparata, è quella militare, dei bombardamenti. A questo punto la domanda potrebbe essere rovesciata: “come si fa, con le bombe, a contrastare il terrorismo dello Stato Islamico?”, visto che dal 2001 ad oggi gli interventi militari hanno clamorosamente fallito l’obiettivo di debellare il terrorismo. Siamo dentro una tragica spirale: guerra, terrorismo, guerra, terrorismo. Per spezzarla la strada maestra è quella di prendere finalmente sul serio la nonviolenza e cominciare a praticarla anche sul piano della politica estera. Se non le guerre in corso, forse si riusciranno ad evitare le guerre del futuro.

Mao Valpiana