La Forza della Verità
Di Daniele Lugli
“Forza della verità” è il modo usuale di tradurre il termine “satyagraha”.
E’ stato scelto da Gandhi, in Sud Africa, per indicare la forza dispiegata dagli indiani immigrati,
che lo seguirono in otto anni di campagne per il riconoscimento dei loro diritti. ” A mio parere –
scrive Gandhi – la bellezza e l’efficacia del satyagraha sono grandiose e la dottrina è così semplice da poter essere insegnata anche a un bambino”. La lettura di testi gandhiani può essere un buon consiglio.
A me è stata utile la bella antologia “Teoria e pratica della nonviolenza”, riedita da Einaudi, con
l’ottima prefazione di Giuliano Pontara.
Il nome di Einaudi mi sollecita a riprendere due opportuni avvertimenti di Luigi Einaudi, affidati alle sue Prediche inutili. “Il solo fondamento della verità è la possibilità di negarla. Il giorno che la verità o quello che noi riteniamo tale fosse accettata da tutti senza contrasto, dovremmo cominciare a temere di essere caduti in errore” e ancora “Il male politico e sociale nasce quando gli uomini d’azione sono persuasi di avere scoperta una verità, di possederla e di avere il dovere di attuarla”. I danni, aggiungo, sono tanto maggiori quanto più potere hanno i detentori della verità e sono tanto più durevoli, sicuri e crescenti quanto più a loro si oppongono altri detentori di verità assoluta.
La verità che ci è dato conoscere non è fuori di noi, nè può essere imposta. E’ quella che scambiamo, confrontiamo, incrementiamo, perdiamo nella nostra esperienza di vita. A questa, consapevoli della nostra fallibilità, dobbiamo testimonianza e assunzione di responsabilità. “Gli disse Pilato: ‘Che cosa è la verità?’.
Uscì poi di nuovo…”. Non aspettò la risposta Pilato, ma non ne aveva bisogno. “Non trovo contro di lui alcun capo d’accusa” era la verità che Pilato possedeva. Rimettersi al giudizio del popolo è stato non dare spazio alla forza della propria verità. Non ha usato una forza, non invincibile, ma importante (come non infallibile, ma decisivo, era il giudizio della sua coscienza ).
Vi è una forza nell’adesione risoluta alle convinzioni, ai valori che siamo giunti a ritenere veri per noi.
E’ una forza che si accresce, se riusciamo ad essere sinceri con noi stessi e con gli altri, che ci sono necessari.
“Bisogna essere in due per dire la verità: uno per parlare, uno per ascoltare” secondo Thoreau.
Chi può parlare ascolta più profondamente, ci diceva Capitini. Il confronto, ed anche il conflitto più aspro, può avere miglior soluzione in termini di nuova verità, raggiunta e condivisa, se è fatto di parola e di ascolto, se almeno una parte fa appello alla capacità, che è anche dell’altro, di giungere ad una soluzione razionale e per tutti accettabile.
Si apre qui la strada del satyagraha, dell’azione nonviolenta, della quale oggi si sente spesso parlare.
E’ diretta a diminuire la violenza, grande e piccola, nei comportamenti, nella cultura, nelle strutture della società.
La forza, che si fa violenza in favore del privilegio, ha una verità, realtà, evidenza di fronte alla quale la forza della verità appare impotente. Qui sta il banco di prova decisivo. “La verità esige una dimostrazione costante” riteneva Gandhi ed esperimenti con la verità chiamava le sue grandi campagne. Non c’è alcuna garanzia di successo, ma è la sola modalità che non alimenti il circuito della violenza.
Il circuito della violenza – diretta, strutturale, culturale – si regge sulla collaborazione, più o meno convinta, talora entusiasta, di chi ne è, in diverso modo, vittima. E’ difficile che non ci sia altra scelta, sia pure difficile. Tant’è vero che c’è chi fa altre scelte, che sono addirittura eroiche, quanto più individuali, non comprese, non sostenute. La maggior parte si adatta e, poichè vive male nella consapevolezza della propria viltà, finisce per l’accettare, come inevitabile e vero, ciò che aveva stimato falso e da combattere.
Chi ha cervello e stomaco adeguati trova spazio e valorizzazione nella produzione del consenso.
Questa connessione tra forza e verità è limpidamente espressa da Giovanni Gentile: “Ogni forza è forza morale, perchè si rivolge sempre alla volontà; e qualunque sia l’argomento adoperato – dalla predica al manganello – la sua efficacia non può essere altra che quella che sollecita infine interiormente l’uomo e lo persuade a consentire”. Da Direttore della Scuola Normale di Pisa, sollecitò il giovane Aldo Capitini, che ne era segretario, a prendere la tessera del partito fascista per mantenere l’impiego. Capitini non consentì. Fu licenziato, schedato come antifascista. Seguitò ad attenersi alla verità della quale veniva mano a mano persuadendosi.
Nei paesi privilegiati si usano la televisione e i mass media piuttosto che il manganello (anche se non vi si rinuncia per non perderci la mano) per sollecitare interiormente, persuadere a consentire all’ingiustizia quotidiana ed alla prossima guerra. Leggo però (Sole 24 Ore del 15 settembre) di un film, Clown in Kabul, che documenta il lavoro del gruppo di medici diretti da Hunter “Patch” Adams, perchè bimbi, feriti, mutilati, bruciati, atterriti siano, oltre che curati, riportati al sorriso. “Una grossa ciliegia rossa in mezzo alla faccia, qualche sberleffo, e poi tanta capacità di sentire il dolore dell’altro…contrario umano di ciò che pratica ogni terrorista, ogni fanatico della morte al lavoro. Il quale infatti non sente e non vede l’altro e il suo dolore, ma solo vede e sente una propria cieca verità assoluta”.
C’è molto da lavorare per vedere e sentire, ed aiutare a vedere e sentire, la verità che sta in quel dolore e nell’intervento dei medici clown. Ciechi e sordi non sono solo i terroristi e i fanatici della morte, ma tanta brava gente, come noi e i nostri capi di stato democraticamente eletti. La verità di quel dolore e dell’intervento che risarcisce, condivisa e partecipata, costituisce la nostra forza. E’ nonviolenza in azione.