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Giorno della Memoria 2022. Senza memoria non c’è futuro

Subito dopo la Seconda guerra mondiale c’era voglia di dimenticare, voltare pagina, chiudere con il passato, guardare avanti. I nazisti, fuggendo, avevano cercato di cancellare, bruciare le prove dei campi di sterminio, far sparire le tracce. Era meglio, per tutti, fare finta di non sapere.

Se oggi abbiamo memoria di ciò che fu, è solo grazie ai testimoni, ai sopravvissuti, agli ex deportati, che hanno conservato indelebili ricordi, che hanno raccontato, che hanno mantenuto la coscienza vigile. Grazie ad Associazioni come Aned (associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti), Anpi, gli Istituti storici della Resistenza, oggi conosciamo perfettamente come il nazifascismo pianificò lo sterminio, come fu possibile che ciò avvenisse nel cuore dell’Europa.

È questa “memoria” che ci spiega come l’Olocausto non fu opera di un piccolo gruppo di pazzi gerarchi nazisti, ma fu una immensa operazione politica e bellica preparata, finanziata, sostenuta, attuata con il consenso di milioni di persone. La tragica guerra mondiale che mise in ginocchio l’intera Europa, fu la conseguenza di quella pianificazione. I treni, i forni crematori, furono il necessario corollario di quella politica militarista. Questa è la verità che ci tramanda la Memoria.

L’immane massacro di milioni di ebrei, rom, omosessuali, disabili, malati psichiatrici, oppositori politici, obiettori di coscienza, disertori, renitenti, e di altri “diversi”, non sarebbe stato possibile se la furia nazista non avesse trovato terreno fertile nella collaborazione delle Istituzioni e in buona parte delle popolazioni dei Paesi occupati. Furono italianissimi funzionari obbedienti alle leggi razziali del 1938 a predisporre gli elenchi di cui poi si sarebbero avvalse con facilità le SS per arrestare e deportare. Non sarebbe bastato l’esercito nazista a sterminare gli ebrei ucraini, ungheresi, rumeni, francesi, greci, e molti altri ancora, se in ciascuno di quei Paesi il razzismo, l’antisemitismo, il collaborazionismo, la delazione non avessero spianato la strada agli assassini in divisa.

Solo con la resistenza nonviolenta, con l’obiezione di coscienza, con la disobbedienza civile alla barbarie che vuole tornare, solo con la promozione dei Diritti umani e il rispetto della Costituzione, sarà possibile fermare lo sterminio oggi ancora in atto. Dobbiamo recuperare la memoria del passato, per trovare la forza di agire nel presente.

Ciascuno di noi è chiamato oggi a costruire l’antibarbarie.

Dunque, dobbiamo essere infinitamente grati a quelle donne e qugli uomini, a chi con la nonviolenza resistente si oppose alla violenza nazista, a chi non ha taciuto, a chi ha saputo dire no, se oggi celebriamo la Giornata della Memoria.

Le parole di speranza scritte da Anna Frank nel suo Diario sono rivolte a noi:

Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità.

Tocca a noi, qui ed ora, alzare la testa per guardare il cielo.

Movimento Nonviolento

La Marcia è di tutti e per tutti

Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli, così la chiamò nel 1961 l’ideatore Aldo Capitini.

Pace e fratellanza: sono queste le due gambe con le quali ci mettiamo in cammino, scendendo dall’acropoli di Perugia verso la piana di Santa Maria degli Angeli e poi su fino alla Rocca di Assisi.

In quel tragitto, così evocativo, ciascuno può sentirsi a casa, ognuno nella sua diversità e con la sua specificità. La Marcia, senza ritualità e particolarismi, è di tutti, di tutti coloro che si riconoscono nei valori, laici e religiosi, a fondamento del vivere civile, di solidarietà e condivisione; di tutti coloro che vogliono rispettare e attuare i principi fondamentali della Costituzione italiana: unità della Repubblica, diritti, lavoro, uguaglianza, libertà, laicità, tutela delle minoranze, promozione della cultura, difesa del territorio, diritto d’asilo, ripudio della guerra.

Con la lungimiranza che ha contraddistinto il suo impegno civile, Capitini ha lasciato in eredità una tecnica nonviolenta (la chiamava assemblea itinerante o comunità in movimento) capace di costruire un largo fronte che sappia ripudiare la guerra e la violenza, a partire dal rifiuto delle armi, delle spese militari, degli eserciti, che le guerre preparano e rendono possibili. La Marcia ha senso solo se mette in moto onde che vanno lontano, se avvia campagne e iniziative nel segno della nonviolenza.

Le parole della Marcia dovranno essere chiare e semplici, comprensibili da tutti: no alla guerra e alle armi, no alla violenza e al razzismo; sì alla pace e alla fratellanza, sì alla convivenza e al dialogo. La scelta è chiara, o di qua o di là. O nonviolenza, o non esistenza.

Vogliamo metterci in cammino, l’uno a fianco dell’altro, per rimettere l’obiettivo della costruzione della pace con mezzi pacifici al primo punto dell’agenda politica.

Oggi la politica fomenta l’odio, il governo incita il cittadino alla difesa armata fai-da-te. L’alternativa a questo precipizio di civiltà è il disarmo: disarmare il pensiero, disarmare le parole, disarmare le azioni. La nonviolenza è la risposta necessaria, capace di moltiplicare gli anticorpi che possono prosciugare il brodo di coltura nel quale stanno proliferando i batteri dell’ignoranza, dell’egoismo, del fascismo. La Marcia Perugia-Assisi del 2018 può essere la prima risposta forte, corale, di tutti, al governo che calpesta i diritti e promuove la xenofobia. A chi sparge odio e paura rispondiamo con il coraggio della resistenza civile. A chi innalza muri e ripristina confini rispondiamo con la fratellanza tra i popoli.

La Marcia è un’azione nonviolenta che ne avvia tante altre. L’opposizione alla guerra ha conseguenze politiche ben precise: taglio delle enormi spese militari, uscita dal programma di acquisto degli F35, messa al bando delle armi atomiche, riconversione civile dell’industria bellica, stop all’esportazione di armi che creano morte, distruzione, migrazioni forzate e profughi che fuggono dal terrore e dalla miseria. I nostri progetti per ricostruire una politica di pace e giustizia sono contenuti nella campagna “Un’altra difesa è possibile”: spostamento delle risorse dal bilancio militare alla difesa civile, non armata e nonviolenta, per i corpi civili di pace, la protezione civile, il servizio civile universale, un Istituto di ricerche per il disarmo.

Vogliamo che i nostri soldi siano usati per costruire la pace e non per preparare la guerra.

Saremo in tanti, da Perugia ad Assisi, a riprendere in mano la politica della nonviolenza.

MOVIMENTO NONVIOLENTO

Nonviolenza e polizia, polis e politica

Pubblichiamo l’Editoriale del numero di Maggio-Giugno 2016 della nostra rivista Azione nonviolenta, vedi qui l’indice

Anche questo numero è dedicato alla formazione alla nonviolenza per le forze dell’ordine. Lo avevamo già fatto nel gennaio-febbraio 2015, con un monografico che riprendeva le varie proposte di Legge sollecitate dai movimenti nonviolenti dopo la tragica esperienza del G8 a Genova, per avere adeguati strumenti normativi vòlti ad includere nei percorsi formativi di tutto il personale di polizia la conoscenza e l’uso della risorse della nonviolenza. E ne approfondivamo gli aspetti torici ed esperienziali. Ora, poco più di un anno dopo, facciamo un altro importante passo in avanti, fornendo ai nostri lettori un resoconto ampio e completo del Convegno “Nonviolenza e forze dell’ordine” che il 29 aprile si è svolto nella sala consiliare del Comune di Livorno, su iniziativa del Centro studi nonviolenza del Movimento Nonviolento, del sindacato Silp Cgil della Toscana e della nostra rivista. Un convegno importante, il primo in Italia di questi tipo, che è stato preceduto ed ha aperto la strada al confronto diretto tra polizia e nonviolenti sulla formazione.

La nonviolenza va avanti, con i tempi lunghi e tortuosi della storia, ma non demorde dagli obiettivi che si pone, e passo dopo passo raggiunge gli obiettivi delle proprie campagne. Quei settori del movimento che quindici anni fa volevano “conquistare le zone rosse” non hanno ottenuto altro che lo sfascio dell’allora nascente movimento no global, e quella parte di polizia che ha deviato dalle regole democratiche, assumendo comportamenti delinquenziali, è stata condannata dalla giustizia dei tribunali. Gli uni e gli altri sono rimasti al palo (magari tentando di ripetere lo stesso copione in Val di Susa). Mentre chi ha percorso tenacemente e coerentemente il cammino del dialogo, del confronto, delle proposte costruttive, ora può presentare risultati significativi, a vantaggio di tutti.

La seconda parte di questo numero, invece, la dedichiamo a tre amici della nonviolenza che quest’anno hanno concluso la loro vita terrena, dai quali tanto abbiamo ricevuto e dalle cui testimonianze di vita, azione e pensiero, ancora tanto riceveremo: Nanni Salio, Pietro Pinna, Marco Pannella.

Stiamo anche pensando a dei numeri specifici, ma un primo ricordo lo vogliamo anticipare.

Pietro Pinna, cofondatore con Capitni del Movimento, è stato anche colui che ha “inventato” Azione nonviolenta, come organo di collegamento e di stimolo alle attività del Movimento stesso, e ne ha dato l’imprinting che ancor oggi ci accompagna. Pietro ha curato personalmente l’uscita della nostra rivista dal 1964 fino al 1979, seguendone poi l’evoluzione da vicino, con attenzione paterna, fino all’ultimo numero. Ci teneva moltissimo, non mancando mai di sollecitare gli amici all’abbonamento, e a farlo puntualmente lui stesso. Per questo ci è parso bello ripubblicare in apertura di questo numero proprio il primo articolo che Pinna ha scritto per Azione nonviolenta. A cui abbiamo fatto seguire un suo articolo del 1964 sul tema di questo monografico, i rapporti tra la polizia e la nonviolenza. Come a dire che il filo della storia e dell’oggi viene da lontano.

La capacità di analisi, di studio, di ampia visione che aveva Nanni Salio, ci manca e ci mancherà molto. Era un raffinato intellettuale della nonviolenza, oltre che tenace uomo d’azione con grande sensibilità d’animo. Una personalità nonviolenta, come direbbe il filosofo Giuliano Pontara. E proprio l’ultimo carteggio tra Pontara e Salio è il ricordo che affidiamo ai lettori.

Marco Pannella ha interpretato una nonviolenza in parte diversa dalla nostra tradizione, ma il suo contributo allo sviluppo dell’azione politica nonviolenta è imprescindibile, e il cerchio della sua esistenza terrena si è chiuso tornando ai fondamenti iniziali. Lo ricordiamo con grande affetto con un’intervista e una sua cronaca di una bella azione nonviolenta. Grazie a Piero, Nanni, Marco.

Mao Valpiana, direttore