Danilo Dolci

La pedagogia maieutica di Danilo Dolci di D. Novara
Dolci: vita e opere di G.Bonora
A quattro anni dalla morte di G.Bonora

BREVI NOTIZIE SU DANILO DOLCI

[La seguente sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone e’ il breve profilo comparso col titolo “Costruire il cambiamento” ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002]

Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta’ strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu’ povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da’ inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita’ si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all’opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo “sciopero alla rovescia”, con centinaia di disoccupati – subito fermati dalla polizia – impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il “Centro studi e iniziative per la piena occupazione”. Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, “continuazione della Resistenza, senza sparare”. Si intensifica, intanto, l’attivita’ di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse – gravi e circostanziate – rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l’allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta’, in Italia e all’estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e’ solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e’ davvero rivoluzionario e’ il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita’ preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E’ convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell’estremo angolo occidentale della Sicilia. E’ proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l’idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un’arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero’, la richiesta di acqua per tutti, di “acqua democratica”, incontrera’ ostacoli d’ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e’ ora coltivabile; l’irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l’attenzione alla qualita’ dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l’artigianato e l’espressione artistica locali. L’impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all’effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita’. Col contributo di esperti internazionali si avvia l’esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu’ intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa’ connessi al procedere della massificazione, all’emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della “scienza della complessita’” e alle nuove scoperte in campo biologico, propone “all’educatore che e’ in ognuno al mondo” una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul “reciproco adattamento creativo” (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu’ recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e’ ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita.

La pedagogia maieutica di Danilo Dolci

di Daniele Novara

Premessa

Danilo Dolci non è un teorico della pedagogia o dell’educazione.È un educatore che intreccia costantemente, come tutti i grandi educatori da Pestalozzi in poi, l’azione e la riflessione. Anzi, direi che ogni sua riflessione è assolutamente contingente a un’azione, non può esistere a prescindere da un intervento diretto, da un tentativo di innestare nella realtà dei motivi di cambiamento, dei motivi di trasformazione. È quello che lui definiva l’“invenzione”, ossia la possibilità di generare nuove strutture, nuovi rapporti , nuove dimensioni sociali.
Da questo punto di vista, non esiste un nucleo epistemologico puro sotto il profilo pedagogico nell’esperienza di Danilo Dolci, un’esperienza com’è noto molto eclettica. Danilo nasce prima di tutto come poeta, le sue prime apparizioni pubbliche sono legate alla poesia. Si tratta di materiali che terrà in stand by per diversi anni, per dedicarsi alacremente all’intervento sociale, a partire dall’esperienza di Nomadelfia, e poi in Sicilia con la creazione del Centro Studi di Trappeto (poi di Partinico), quindi lottando contro la mafia e impostando un lavoro che lo porta ad essere conosciuto in tutto il mondo come il profeta della nonviolenza in Sicilia. Ma Danilo Dolci è anche un educatore: lo stesso impegno sociale lo porta sul versante dell’educazione in senso stretto. Senz’altro la sua esperienza più significativa è la creazione del Centro Educativo di Mirto, presso Partinico. Nato nel 1972, il Centro Educativo è ancora oggi una delle esperienze internazionalmente note come una delle migliori scuole sperimentali nate in Italia.
Danilo Dolci nasce come poeta, opera come animatore sociale, e muore come educatore. Però queste tre componenti sono passaggi unitari della sua vita, non c’è tra essi una sostanziale distinzione. Si può dire che in particolar modo gli ultimi venti anni della sua vita sono quasi interamente dedicati alla formazione, con l’aiuto comunque del suo afflato poetico che lo porta a confrontarsi con i giovani di scuole di ogni parte d’Italia.
Quello che vado a presentare in questo breve intervento non è semplicemente un approccio al Danilo Dolci dei libri, nonostante sia stato un autore prolifico (si contano 40 o 45 libri firmati da lui, forse di più, considerando le opere giovanili), ma un Danilo Dolci in carne ed ossa, conosciuto attraverso una frequentazione breve, durata soltanto qualche anno, ma piuttosto intensa, che mi diede modo di capire meglio, dal vivo, alcune potenzialità che ovviamente avevo già intuito leggendo i suoi libri ed entusiasmandomi per le sue poesie. Intrecciando quindi l’utilizzo dei suoi testi con i miei ricordi personali, cercherò di enucleare pochi tratti che individuano con una certa precisione la sua figura educativa.

1. Il gusto della domanda.

Se c’è una metafora che può caratterizzare l’esperienza pedagogica di Danilo Dolci è senz’altro la metafora della domanda. Possiamo definire Dolci come l’educatore della domanda, ossia l’educatore che innesta tutta la sua azione formativa sul chiedere, sull’esplorare, sul creare, sull’interrogazione, ovviamente non in senso scolastico, ma nel senso dello scavo, dell’andare oltre l’apparente, cercando di scoprire il “non-noto”, ciò che è velato dalle tradizioni, dalla consuetudine, dagli stereotipi. In questo sta il richiamo al metodo maieutico, per cui Danilo Dolci è famoso, il metodo del tirar fuori, del porre gli educati, i soggetti in crescita nella condizione di allargare la propria sfera di apprendimento a partire dalla capacità di utilizzare in maniera costruttiva le domande.
E qui vorrei partire da ricordi personali. Nell’ultima parte della sua vita Danilo girava le scuole d’Italia incontrando i giovani. Una volta acquisita la disponibilità di alcune classi, chiedeva ai ragazzi di mettersi in cerchio, come faceva sempre.
Anche questa disposizione delle sedie era qualcosa di assolutamente innovativo, di profetico. Oggi tutti riconosciamo la necessità di una disposizione del gruppo in una maniera diversa da quella scolastica, oppure riconosciamo la tecnica del circle time per mettere gli alunni a proprio agio o per favorire la ricerca collettiva, la discussione, il dibattito, l’approfondimento. Fin dai primi tempi in Sicilia Danilo adottò questa disposizione del gruppo. È indubbio che lasciò intendere la sua incredibile comprensione dei processi educativi.
Dunque, nelle classi Danilo faceva mettere i bambini o i ragazzi in cerchio, talvolta proponeva una delle sue poesie, e infine chiedeva ad ognuno “Qual è il tuo sogno?”. Questa domanda innescava nei ragazzi un’autoriflessione, un confronto interno. Venivano fuori stati d’animo, sentimenti, scoperte enormi. Il seminario che Danilo conduceva in fondo non era altro che questo: porre una provocatoria domanda.
A dire il vero, appare più provocatoria una scuola che non chiede mai ai suoi alunni che scopi, che desideri hanno. Però in un contesto spesso così rigido e formale come quello scolastico indubbiamente risultava un coup de théâtre che andava a rompere schemi consolidati. I ragazzi mostravano di aderire in maniera entusiasta, una volta superato il primo momento di stupore, alla proposta di Danilo, e si creava un intenso clima emotivo e affettivo di ricerca, che gettava le basi per una rigenerazione anche personale. In questo Danilo era indubbiamente maestro, nella capacità di suscitare un senso profondo delle proprie capacità, nell’aiutare i soggetti a liberarsi delle proprie insufficienze, a volare oltre gli stereotipi in cui il soggetto era calato.
Danilo Dolci concepiva la domanda come suscitatrice di un nuovo modo di collocarsi e di vedersi. La domanda funge in Danilo da mezzo di riconoscimento e di autoriconoscimento. Essa ha valore fondante. È quella che oggi, con altri termini, potremmo definire una pedagogia dell’ascolto, che è ancora una pedagogia maieutica, che ha la sua caratteristica fondamentale nell’idea che l’apprendimento non sia un’acquisizione esterna, ma piuttosto il ricongiungimento interno fra quanto il soggetto è in grado di elaborare e quanto la realtà esterna gli offre da rielaborare. In questo incontro si genera l’apprendimento.
Questa è una posizione che epistemologicamente possiamo riconoscere nei grandi autori cognitivisti come Gardner, Goleman, i neo-piagetiani, e nella teoria della complessità. Secondo questa linea di pensiero, la natura dell’apprendimento è autogenerativa, in antitesi alla visione scolastica tradizionale, che costruisce l’eventuale apprendimento solo in una funzione input/output.
La dimensione input/output è stata riproposta periodicamente, da ultimo negli anni ’80, con le teorie della programmazione, teorie che fortunatamente sono state in seguito accantonate. In questa concezione, l’insegnante viene visto come colui che organizza una serie di input che poi permetterà un output da parte del soggetto recipiente, secondo un modello meccanicistico che poco a poco è stato confutato, ma che la pedagogia di Danilo Dolci, come peraltro quella della Montessori o di Freire, aveva già ampiamente respinto. Purtroppo la cultura scolastica tradizionale tende sempre a ripresentarsi sulla scena epistemologica con nuove interpretazioni del modello meccanicistico, e senz’altro quella delle teorie curricolari è stata una delle ultime e forse più ingegnose, basata sulla risposta esatta, sul già noto, su una visione dell’apprendimento come assecondamento di processi precostituiti dall’insegnante.
In Danilo Dolci, al contrario, c’è il gusto della scoperta, dell’imprevedibile.
In questo la sua modernità è straordinaria, basti pensare alle teorie della complessità, e alle teorie che da questa complessità hanno portato alla valorizzazione delle domande legittime di contro alle scolastiche domande illegittime basate sul già noto. Chiedere agli alunni dov’è nato Leopardi, oppure qual è l’isola dell’Oceano Atlantico dove morì Napoleone: sono domande che consegnano all’alunno il puro e semplice compito della ripetizione, lo scontato compito di confermare ciò che l’insegnante già sa. Danilo Dolci, come i grandi pedagogisti critici del ‘900 (che sono, fortunatamente, gli unici che ricordiamo) come Dewey, come la Montessori, come Freinet, come Freire, ci dà la possibilità di riflettere ancora una volta sulla funzione generativa dell’apprendimento che hanno le strategie educative centrate sulla domanda piuttosto che sulla risposta esatta. In Esperienze e riflessioni, ricordando la genesi del suo Centro Educativo di Mirto, dice:
Presupposto essenziale del nuovo Centro Educativo è che i bambini hanno interessi vitali: questi vanno scoperti e sviluppati da loro in collaborazione con persone che abbiano il gusto e la capacità di scoprire, di realizzare, di proporre attorno a sé validi interessi.

2. La democrazia come processo formativo.

In Danilo Dolci è chiaro che la politica è educazione e l’educazione è politica, in quanto i presupposti della democrazia sono presupposti culturali e non solo istituzionali. La democrazia per Danilo Dolci si forma innanzitutto nella cultura, nella testa delle persone. In Danilo Dolci vi è una costante tensione a generare quelle condizioni sociali e politiche che permettono ai singoli individui di maturare una consapevolezza del proprio valore, del proprio potere, il bisogno di farsi sentire, di valorizzare la propria esistenza. È un processo che trova in Danilo Dolci una connotazione pedagogica.
I processi di cambiamento sociale che propone nella Sicilia degli anni ’50 e ’60 li definisce di “crescita collettiva”, di crescita di un popolo, non possono essere imposti dall’alto. In questa stessa ottica, contro la mafia Danilo non invoca una soluzione militare o giuridica, ma s’impegna per erodere il potere che il sistema mafioso acquista sulla base del deficit di iniziativa sia dello Stato che dei singoli. Il suo impegno come educatore è volto a organizzare la speranza di un cambiamento a partire dalla presa di coscienza di ciascuna persona del proprio valore, delle proprie risorse e quindi delle potenzialità di generare nuove strutture.
Anche quando s’impegna nella creazione del nuovo Centro Educativo per i bambini a Mirto Danilo Dolci lo fa con la consapevolezza di creare un avamposto di una nuova cultura, non certo per erigere l’ennesimo servizio socio-educativo, quanto per creare un’occasione di rivisitazione dei modelli culturali. Difatti, dice Danilo Dolci,
il Centro Educativo sta diventando, all’interno delle famiglie, un’occasione di ripensamento dei rapporti familiari, una leva per far scricchiolare una parte della vecchia struttura sociale, economica e politica. Il lavoro che svolgiamo si pone come obiettivo non solo quello di far maturare i ragazzi, ma attraverso di loro penetra nelle famiglie, influisce sulla loro mentalità, creando e portando avanti nuovi fronti democratici.
Questa frase di Danilo Dolci ci dà l’esatta dimensione del suo lavoro educativo, che non è mai fine a se stesso, ma è sempre volto a realizzare il connubio fra micro- e macrocambiamento, fra il cambiamento culturale del singolo individuo e la nascita di nuove prospettive.
In questo impegno Danilo Dolci si ricollega al lavoro di coscientizzazione degli adulti che contemporaneamente svolge Paulo Freire in Sudamerica. Sono due personalità che agiscono in parallelo: entrambi fanno della crescita socio-culturale una sfida per cambiare le vecchie strutture, per scalzare le vecchie barriere e inaugurare processi di trasformazione. Sono degli educatori politici, ma non in senso ideologico.
Danilo Dolci non è portatore di un’ideologia particolare, non si può definirlo né socialista né marxista né anarchico né nient’altro. E in questo si differenzia da Freire, il quale comunque aveva dei riferimenti ideologici abbastanza precisi: da un lato il personalismo di Mounier, dall’altro il marxismo. In Danilo Dolci troviamo piuttosto la capacità di analizzare con precisione un determinato funzionamento del potere in un certo contesto, utilizzando raramente categorie standardizzate sotto il profilo della ricerca sociologica. Difatti nei suoi lavori Dolci utilizza lo strumento dell’intervista, che da un punto di vista strettamente sociologico è uno strumento il cui valore scientifico è stato scoperto solo recentemente. All’epoca in cui lo utilizzava Danilo Dolci era uno strumento valutato solo in termini politici. In questo caso, come in quello dell’autobiografia, oggi tanto di moda, Danilo Dolci fu dunque ancora una volta un precursore.
Danilo Dolci non è inquadrabile in un’ideologia particolare: il suo lavoro ha sempre uno scopo maieutico, di liberazione, di creazione, il che si ricollega in qualche modo alla sua vena poetica e creativa. In lui possiamo dire che l’educazione si libera definitivamente da ogni sfumatura semantica di controllo, di regolazione. Educare diventa sinonimo di creare, promuovere, liberare. Purtroppo questa è un’accezione del termine che ancora oggi stenta a decollare, nonostante i grandi maestri del ‘900 (con Dolci, la Montessori, Capitini, Freire, Freinet).
Ancora oggi, quando dobbiamo usare parole come ‘educato’ o ‘maleducato’ ci riferiamo sempre a categorie di giudizio, di controllo, e mai di crescita, di liberazione, di creatività. Forse il contributo maggiore che Danilo Dolci ha dato sul piano della ricerca pedagogica è questo, che educare è offrire all’altro o all’altra la possibilità di rendere la propria vita più creativa e quindi di concepire la propria esistenza come creazione.
Infine, per rendere omaggio a questo grande del ‘900, peraltro uno dei pochi educatori italiani noti, assieme a Maria Montessori, in tutto il mondo, appare utile rileggere una delle sue poesie, una splendida composizione che ci dà l’idea di quello che era il background, l’epistemologia educativa di Danilo Dolci:
C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo.
Forse c’è chi si sente soddisfatto, così guidato.
C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo.
C’è pure chi si sente soddisfatto, essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa senza nascondere l’assurdo che è nel mondo,
aperto a ogni sviluppo,
cercando di essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono.
Ciascuno cresce solo se sognato.
Riferimenti bibliografici

D. Novara, Scegliere la pace. Guida metodologica, Edizioni Gruppo Abele, Torino 19984
D. Novara, L’ascolto si impara, Edizioni Gruppo Abele, Torino 20002
P. Freire, L’educazione come pratica della libertà, Mondadori, Milano 1980
M. Montessori, L’educazione e la pace, Garzanti, Milano 19702
G. Honegger fresco (a cura di), Maria Montessori: perché no?, Angeli, Milano 2000
H. Gardner, Educare al comprendere, Feltrinelli, Milano 1996

Vita e opere di Danilo Dolci

(Breve nota bio-bibliografica a cura di Germano Bonora)

1924 – Danilo Dolci nasce a Sesàna il 28 giugno da Enrico, impiegato delle Ferrovie dello Stato, e da Meli Kontely di origine slava, dalla quale eredita la sensibilità artistica e la passione per la musica. Restano indelebili nella memoria del poeta le canzoni viennesi eseguite dalla madre al pianoforte e dal nonno al violoncello.
1940-41- In estate raggiunge il padre trasferito a Trappeto (PA). Visita i reperti archeologici di Segesta e Selinunte, ma è colpito soprattutto dalla povertà dei contadini e dei pescatori oppressi della mafia.
1943 – Viene arrestato a Genova per “renitenza alla leva”. Riesce a fuggire rifugiandosi sulle montagne abbruzzesi.
1944 – Frequenta i corsi di architettura all’università di Roma ed anche le lezioni di storia del cristianesimo di Ernesto Buonaiuti. Dopo la guerra raggiunge la casa paterna in provincia di Alessandria, riprendendo gli studi al Politecnico di Milano. Per mantenersi insegna in una scuola serale di Sesto San Giovanni, dove conosce lo studente lavoratore Franco Alasia, che lo raggiungerà in Sicilia negli anni cinquanta.20
1950 – Alle soglie della laurea lascia gli studi e si reca a Fossoli, frazione di Carpi, in provincia di Modena, per collaborare con la comunità dei “Piccoli Apostoli”, sorto nell’20ex-campo di concentramento nazista con il nome di “Nomadelfia”. Vi rimane poco più di un anno, maturando a contatto di Don Zeno e della realtà dolosa degli emarginati.20
1951 – Nasce la raccolta poetica “Voci nella città di Dio”.
1952 – Prima della chiusura di “Nomadelfia” da parte dei celerini di Scelba e delle autorità ecclesiastiche Danilo si trasferisce a Trappeto, in provincia di Palermo, dove si mette subito a lavoro coi contadini e i pescatori del posto. Per sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità politiche il 14 ottobre attua il primo digiuno a seguito della morte del bambino spentosi per deperimento organico provocato dalla prolungata carenza alimentare.
1953-54 – Con l’aiuto di artisti ed intellettuali avvia la costruzione del “Borgo di Dio” con un asilo per i bambini del luogo e l’Università Popolare per aiutare gli adulti a crescere insieme e ad aprirsi reciprocamente. Nasce così il primo laboratorio di auto-analisi basato sul metodo della maieutica di gruppo, cioè sulla conversazione interpersonale nel rispetto delle opinioni di ciascuno, per raggiungere la migliore soluzione dei problemi posti.
1955 – Laterza pubblica “Banditi a Partinico”, uno spaccato sulle condizioni di povertà e di degrado nei luoghi tristemente noti per le imprese della banda del bandito Giuliano e complici.
1956 – Presso Enaudi esce “Processo all’articolo 4”, che documenta alcuni fatti rilevanti come il digiuno di 1000 persone sulla spiaggia di San Cataldo a Trappeto contro i motopescherecci della mafia e lo sciopero alla rovescia per riattivare una trazzera intransitabile sulla base del diritto di lavoro sancito dall’20articolo 4 della Costituzione. Il 15 dicembre del 1956 per denunciare lo stato di miseria viene attuato un digiuno collettivo a Palermo e in tre paesi della provincia.
1957 – Il primo novembre ha inizio il “Congresso per la prima occupazione” a Palermo che dura tre giorni, con la partecipazione di tecnici, economisti, urbanisti e sociologi italiani e stranieri.
Dal 7 al 19 novembre Danilo e Franco Alasia digiunano per protesta contro la povertà e il degrado dei quartieri popolari di Palermo.
1958 – Einaudi pubblica “Una politica per la prima occupazione”, il cui concetto viene introdotto per la prima volta in Italia. Il libro contiene gli atti fondamentali del congresso. Nello stesso anno arriva il maggiore riconoscimento internazionale: il Premio Lenin per la pace20, che Danilo accetta quale riconoscimento della “validità delle vie rivoluzionarie non violente”, non avendo mai condiviso né l’ideologia né i partiti marxisti. La notevole somma di danaro ricevuta con il premio viene impiegata per il “Centro studi ed iniziative di Partinico”, fondato allo scopo di promuovere lo sviluppo democratico e l’20occupazione attraverso cooperative e altre iniziative socio-educative.
1960 – La pubblicazione del volume “Spreco” da parte dell’editore Enaudi denunzia il parassitismo e le complicità politico-mafiose con una analisi socio economica della Sicilia occidentale.
1962 – Raccoglie un’ampia documentazione delle riunioni con la gente semplice nel saggio “Conversazioni”. A settembre digiuna per la diga sullo Jato, che la Cassa per il Mezzoggiorno delibera di costruire al nono giorno di digiuno, seguito da una imponente manifestazione popolare. A novembre si costituisce a Menfi la Cooperativa cantina sociale “Il Progresso”.
1963 – Il 27 febbraio iniziano i lavori della diga sullo Jato. Il 29 ottobre, digiuno a Roccamena per la diga sul Belice.
1964 – Il 7 marzo, occupazione della piazza di Roccamena per la diga nel Belice.
1965 – Danilo e Franco Alasia al Circolo della Stampa di Roma denunciano pubblicamente i rapporti tra la mafia e alcuni politici di primo piano. Il 20 novembre inizia il processo contro i due su denunzia di un ministro, un sottosegretario e alcuni notabili accusati di collusione con la mafia.
1966 – Danilo digiuna a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani. Nel settembre Einaudi pubblica “Chi gioca solo” sulle vicende procesuali e sui rapporti politico-mafiosi.
1967 – Dal 5 all’11 marzo, marcia di 200 km. “per la Sicilia occidentale e per un nuovo mondo”.
A seguito della protesta davanti al Parlamento e alla sede della Commisione Antimafia i politici denunciati di collusione con la mafia vengono esclusi dal governo.
1968 – Iniziano i lavori di costruzione del “Centro di formazione” al Borgo di Trappeto completati in soli sette mesi grazie agli aiuti degli amici Carlo Levi, Bruno Zevi, Paolo Sylos Lavini, Siro Lombardini e altri.
Forte l’impegno profuso per le zone terremotate della valle del Belice: marce di protesta, digiuni collettivi, denunzie e conseguenti processi penali a carico di Danilo, al quale il 30 novembre viene conferita la laurea “honoris causa” in filosofia dall’università di Berna.20
1969 – Laterza pubblica una sintesi del seminario sul tema innovativo “Città – territorio”, svoltosi a Trappeto. Il sei luglio si costituisce “Il Consorzio Irriguo Jato”, che contribuisce all’isolamento e all’arresto di alcuni mafiosi, tra cui Frank Coppola.20
1970 – Nasce a Partinico la “Cooperativa ortofrutticola” ad opera di Pino Lombardo. La polizia chiude la “Radiolibera”, che da Partinico dà voce ai poveri cristi, come documenta la raccolta poetica pubblicata da Laterza con il titolo “Il Limone Lunare”.20
201971 – Il 28 Aprile inizia a Roma il processo di appello contro Danilo Dolci e Franco Alasia. Il 28 novembre 300.000 persone arrivano a Roma per una imponente manifestazione antifascista.
1972 – Nasce il Consorzio “Kronion”, al quale aderiscono le cooperative “Il Progresso” di Menfi, “Grappolo d’oro” ed “Enocarbori” di Sciacca,20“Tre Fiumi” e “Acli” di Ribera, “La vite” di Santa Margherita Belice, “Sambuca di Sicilia”: seimila soci oltre settecentomila quintali di uva. Le cooperative sono tutte autogestite.
1973 – Einaudi pubblica “Chissà se i pesci piangono”, una sintesi degli incontri seminariali dell’anno precedente.
A luglio la Corte di Cassazione di Roma conferma la condanna per Danilo Dolci e Franco Alasia, rispettivamente di due anni e un anno e mezzo, pena condonata.20
1974 – Einaudi pubblica “Poema Umano”. A febbraio inizia la costruzione in contrada Santa Caterina Mirto di Partinico del “Centro educativo per l’infanzia”. Laterza pubblica “Esperienze e Riflessioni”.
1975 – Il 7 gennaio inizia la sperimentazione educativa di due gruppi di bambini di quattro e cinque anni. A dicembre gli amici del Peace Memorial Museum di Hiroshima portano al Centro educativo di Mirto una bottiglia, una canna di bambù e una tegola deformate dal fuoco della Bomba Atomica.
1976 – A febbraio arrivano al Centro di Mirto per un seminario gli educatori di fama internazionale Freire, Galtung, Gelpi, Canziani, Vonèche, Bruni, Clinemberg, Suchodolski e molti altri. Non arrivano, purtroppo, i fondi regionali per rendere transitabile la strada per Mirto, il cui Centro rischia la chiusura. A giugno Mondadori pubblica “Il dio delle zecche” nella collana Oscar Poesia.
1978 – Radio Città Terrestre inizia le trasmissioni ad opera di Amico Dolci ed altri attivi collaboratori.
1979 – Esce presso l’editore Stampatori di Torino “Il ponte screpolato”, che documenta la sperimentazione in atto con le relative difficoltà burocratiche. Feltrinelli pubblica “Creatura di Creature”, che riceve il Premio internazionale Viareggio.
1980 – Dal 7 all’ 11 luglio viene invitato a Parigi dall’UNESCO per il “Simposio internazionale sull’evoluzione dei contenuti dell’educazione generale del prossimo ventennio”.20
Molte proposte fatte da lui vengono accolte nel documento consclusivo inviato ai diversi Stati aderenti.
1981 – A gennaio tiene un seminario di due settimane sulla sua poesia all’università di Los Angeles. Danilo terrà lo stesso seminario per sei giorni al liceo scientifico “Alfonso Gatto” di Agropoli. L’editore20Laterza a maggio pubblica il poema “Da Bocca a Bocca” con la presentazione di Mario Luzi. Intensifica gli incontri e i seminari di studio in diverse scuole e associazioni sia italiane sia straniere.
1982 – La Boston University Library inizia a raccogliere20gli scritti e la corrispondenza che Dolci ha con Huxley, Russell, Fromm e altri intellettuali di fama mondiale. In diverse scuole italiane, tra cui quelle di Agropoli, di Mestre, di Alba, di Alessandria, di Asti, di Piacenza, d’20Imperia, di Varese, di Acireale e altre si continua a sperimentare la sua maieutica su temi di attualità ed interesse universali.
1983 – La Scuola Materna di Mirto viene finalmente riconosciuta quale scuola statale sperimentale con docenti di ruolo affiancati dagli educatori Rosalba Martinetti e Mìchael Fàhndrich. Dai primi anni ottanta si va consolidando il rapporto di collaborazione con gli studenti e alcuni educatori del liceo scientifico “A. Gatto” di Agropoli. Ammira gli imponenti templi di Paestum, recandosi più volte a Velia,20sede della scuola eleatica, rappresentata da Parmenide, dal quale Socrate avrebbe appreso il metodo della conversazione maieutica.
1984-85 – Primi contatti per la cessione della struttura scolastica di Mirto e del Borgo, rispettivamente con gli amministratori di Partinico e di Trappeto, al fine di accelerare il processo di autonomia del tutto sgombra da ogni sospetto equivoco di dominio dolciano.
1985-86 – Armando Armando pubblica prima “Palpitare di Nessi”, al quale viene assegnato il Premio Città di Scala, e poi 20“Creature di Creature”, un’ampia antologia della poesia dolciana, considerata dall’illuminato editore alta e singolare poesia, sommamente valida anche per lo sviluppo educativo.
1987 – Presso l’editore Argonauta di Latina escono due pregevoli volumetti: “La comunicazione di massa non esiste” e “La creatura e il virus del dominio”.20
1988 – Il “Centro studi e iniziative” di Partinico si trasforma in “Centro per lo sviluppo educativo”. Si intensificano sempre più i seminari per verificare i forti nessi esistenti tra il processo educativo, la creatività e la crescita personale.
Il Centro di Partinico, nato “Per la piena occupazione”, diventa sempre più attivo e operativo, passando dall’ambito del sociale a quello maieutico-educativo.
1989 – L’editore Sonda di Torino pubblica prima “Dal Trasmettere al comunicare”, la sintesi dei risultati seminariali più recenti, e poi la prima stesura della “Bozza di Manifesto”, che si arricchisce, anno dopo anno, di nuovi e vari contributi di studenti, docenti e di gente semplice, registrati accanto a quelli di famosi premi Nobel, come Carlo Rubbia e Rita Levi-Montalcini.
1991 – Come segno tangibile di gratitudine per l’impegno profuso fin dal 1980 dal Dolci a favore degli studenti delle scuole locali, l’Amministrazione del Municipio di Agropoli il 18 aprile gli conferisce la cittadinanza onoraria, come già aveva fatto, dieci anni prima, la città di Boston.
Partinico, che lo ha visto per quasi mezzo secolo costantemente impegnato in loco per la crescita sociale e culturale, gli concederà la medesima riconoscenza soltanto il 19 ottobre del 1997.20
Il 13 maggio del 1996 l’università di Bologna gli conferisce la laurea honoris causa in scienze dell’educazione.
Dopo la prolusione i docenti del prestigioso Ateneo lo invitano a tenere un seminario di studi. Per questa occasione le Edizioni Martina di Bologna stampano “Se gli occhi fioriscono”, un’ampia antologia delle raccolte poetiche edite dal 1968 al 1996. La Nuova Italia pubblica nel settembre dello stesso anno “La struttura maieutica e l’evolversi”.
1997 – Presso La Nuova Italia esce la prima edizione del libro“Comunicare legge della vita”20. Pochi giorni prima della immatura dipartita, avvenuta nella prima mattinata del 30 dicembre del 1997, Danilo aveva riscritto la prefazione della seconda edizione del libro, che sintetizza il suo pensiero ed è per questo, finanche nel titolo profetico, oltreché un accorato monito, un vero e proprio testamento morale.20
1997 – Il 30 dicembre muore all’ospedale di Partinico, dov’era stato ricoverato nelle prime ore della mattinata per una grave crisi cardiaca, tragico epilogo dei postumi della grave polmonite che l’20aveva colpito nel corso del viaggio in Cina, per cui era stato tardivamente curato prima in un ospedale svizzero e poi in quello di Palermo.

A QUATTRO ANNI DALLA MORTE DI DANILO DOLCI

Prima che sia troppo tardi, salvare il suo archivio, patrimonio dell’umanità.

Di Germano Bonora

Nella prima mattinata del 30 dicembre del 1997 cessava di vivere Danilo Dolci, a soli 73 anni, nell’ospedale di Partinico, in cui era stato ricoverato d’urgenza poche ore prima per una grave crisi cardiaca, causata dai postumi della broncopolmonite, che l’aveva colpito in Cina, dove era stato ufficialmente invitato il grande poeta-maieuta, la cui fama era arrivata fino all’Estremo Oriente.
Danilo mi aveva parlato con grande entusiasmo di questo viaggio, ed io contavo i giorni per sentire dalla sua viva voce le impressioni sui cambiamenti in atto in quel popoloso continente ricco di storia plurimillenaria, al quale guardava con forte attenzione e buone speranze. Considerava un importante indizio di novità l’apertura del governo di quel grande Paese alla maieutica, uno dei pilastri della democrazia in ogni ambito: dalla famiglia alla scuola fino ai più complicati rapporti nazionali e planetari.
Tornò dopo una ventina di giorni. Al telefono lo sentii due o tre volte con la voce talmente affannata che non ebbi il coraggio di chiedergli niente: “Ci risentiremo quando ti sarai ristabilito completamente…”. Pensai che si trattasse di una crisi passeggera causata dal lungo viaggio. Da molti anni soffriva di diabete mellito, che gli minava il cuore già molto affaticato dal sovrappeso. Ricoverato prima in una clinica svizzera, poi all’ospedale di Palermo, era tornato nella casa di Trappeto talmente debilitato da essere costretto a spostarsi con la sedia a rotelle; ma questo venni a saperlo da Josè Martinetti, la instancabile segretaria e collaboratrice di sempre, la mattina del 30 dicembre, quando con la voce rotta dai singhiozzi mi telefonò la dolorosa notizia: “Danilo non ce l’ha fatta: l’avevamo ricoverato stanotte all’ospedale di Partinico per una crisi cardiaca. Dal ritorno dalla Cina non era più lui: era costretto a spostarsi con la sedia a rotelle…”.
Provai un dolore atroce, come la morte improvvisa di un familiare stretto. Danilo era per me molto più di un amico. Per diciotto anni ci siamo sentiti giornalmente, in certe occasioni anche più volte al giorno. Prima di dare alla stampa i suoi lavori voleva conoscere il mio giudizio, lui così sapiente eppure tanto umile, come sanno essere soltanto i puri di cuore.
Le ultime vicende politiche del nostro Paese lo amareggiavano e lo indignavano fortemente, ma non perdeva mai del tutto la speranza nella capacità di ripresa e di riscatto dell’uomo, che considerava “creatura di creature”. Danilo sognava la Terra trasformata in una sola grande Polis, in cui i continenti diventavano semplici quartieri, sempre più vicini, animati dalla creatività di ciascuno. L’ottimismo insopprimibile di quanti operano credendo fermamente nei più alti ideali. Sognava la pace fra tutti i popoli, costruita con la collaborazione di ogni uno in un rapporto di autentica comunicazione planetaria.
Per Danilo la cosiddetta comunicazione di massa non esiste, una patente contraddizione negli stessi termini: un maledetto imbroglio ordito dal “virus del dominio”. Con l’aiuto di autorevoli amici scienziati aveva approfondito le formidabili modalità di attacco e di espansione dei virus, che colpiscono gli organismi sani, distruggendone le difese. Questa stessa tecnica distruttiva vedeva in atto nei modi sempre più subdoli e raffinati da parte di gruppi e personaggi dominanti su scala planetaria con l’impiego dei cosiddetti mass-media fatti passare per mezzi di comunicazione di massa, mentre in realtà sono sofisticati strumenti di dominio.
Nel corso dei seminari di studio Danilo non si stancava di sottolineare la sostanziale differenza tra il trasmettere unidirezionale e potenzialmente violento e il comunicare, la cui azione denota sempre reciprocità e interattività, anche quando si fa tanto vivace da sfociare nel bisticcio, anch’esso positivo, purchè non degeneri nella violenza.
Non amava l’abusato termine di massa, di cui si riempiono la bocca certi politici e sindacalisti del tutto privi di sensibilità e cultura democratica. Massa deriva dell’etimo greco maza, che equivale a pasta, ciò a materia informe e attaccaticcia, facile da manipolare: massa di manovra per il dominio.
Teneva molto alla proprietà del linguaggio. A maestro preferiva sempre educatore; ad alunno, studente; al militaresco termine di classe quello più semplice di gruppo; a pedagogia, che presuppone il conduttore, la guida, la meno ambigua definizione di scienze dell’educazione, di cui era diventato con gli anni uno dei maggiori esperti al mondo.
La rivoluzione nonviolenta di Danilo teneva in gran conto anche il lessico, tutto da reinventare, sulla base del massimo rispetto per l’altro, da cui nasce la democrazia vera.
Negli ultimi anni era particolarmente indignato per la concentrazione della editoria e delle emittenti radiotelevisive nelle mani di singoli o di gruppi dispotici e intolleranti, che limitano sempre più o condizionano pesantemente la libertà individuale. Uno degli effetti più perniciosi del virus del dominio per la sopravvivenza stessa della democrazia.
Per la pubblicazione dei suoi lavori si affidava soltanto a piccoli editori veramente liberi da condizionamenti: l’Argonauta di Latina, Edizioni Sonda di Torino, Lacaita di Manduria, Rubbettino di Soveria Mannelli e altri più o meno noti. Pochi anni prima della morte l’editore di testi per l’educazione Armando Armando pubblicò “Palpitare di nessi” e la produzione poetica selezionata dall’autore sotto il titolo profetico “Creatura di creature” , considerando sia il testo in prosa sia quello in versi poesia per educare, senza essere né didascalica né pedagogica.
In occasione del conferimento della laurea honoris causa in scienze dell’educazione da parte dell’ateneo bolognese, l’editore di testi scientifici e odontoiatrici Martina volle stampare tutte le poesie scritte dal 1968 al 1996 e scelte dallo stesso Autore sotto il suggestivo titolo “Se gli occhi fioriscono”.
Non si potrà comprendere a pieno la molteplice produzione letteraria, che spazia dalla puntuale documentazione dell’attività socio-politico-educativa alla narrativa e alla poesia, a cui si eleva sempre la scrittura di Danilo, se non la si considera strettamente connessa con la vita stessa del poeta-educatore. Lo scrivere e l’operare sono una cosa sola. Mario Luzi in una nota introduttiva al corpo poetico dell’Amico con insolito coraggio e sincerità osserva: “Non velleitariamente, ma partendo dal vivo della sua esperienza ispirata e civile, Danilo è oggi uno di coloro che ci porta più lontano dall’impasse molto tribolata in cui si è dibattuta la poesia e la cultura moderna”. Siamo ben oltre, dunque, la tradizione letteraria italiana ed europea, che tende ad idealizzare, evadendo dalla realtà effettuale, nella quale il Dolci si immerge coraggiosamente, impegnando tutte le sue energie per sottrarre gli oppressi dal mare vorticoso degli abusi e dello sfruttamento politico- mafioso e anche religioso. “Ecco perchè – annota ancora il poeta fiorentino – la sua più matura poesia (la più sua) traduce all’interno del proprio poi e in tutte quante le fondamentali premesse che hanno ispirato la sua vita morale e pubblica: qualificare cioè l’uomo, renderlo conscio e disposto a partecipare; con in più – e non è trascurabile – la manifesta pulsione amorosa e il fervore creativo che erano subiacenti a questa proposta, a questa volontà. La poesia che ci saremmo, con un po’ di immaginazione anticipativa, dovuti aspettare da lui. Il che non esclude che nel corrispondere puntualmente alla sua idea di scrittura dove protagonista non è l’io né il tu ma la scrittura stessa come profondo atto amoroso […] Danilo dava un vitale esempio di sortita dall’arroccamento pur sdegnoso e abdicatorio in cui si era consumato il dramma dell’autore moderno, nel settore dei più variati reagenti ma nell’unico senso di un tradimento subìto o presunto; e dava perfino l’esempio di infrazione della frontiera tra il parlare di suo e il parlare per anonima investitura come necessità interna al linguaggio dato alle ‘creature’ che al pari di ogni altra virtù creata esige a sua volta di divenire creante per forza generativa di amore. Tale sembra a Danilo essere la legge fondamentale del mondo, tanto che si è studiato di portarla nel cuore della società proprio dov’era più refrattaria”.
Occorrevano la sensibilità e l’acume particolare di un poeta per intuire a fondo l’assoluta novità dell’opera di Danilo Dolci, il quale – sono ancora parole di Luzi – “sposta il centro dell’autorità da quello che si è sempre ritenuto, appunto, ‘l’autore’ a una effabilità latente e imperiosa che risiede nella lingua come tale”. Danilo sogna la Terra trasformata in una sola Polis con il concorso attivo di ciascuna creatura potenzialmente destinata a creare. La Terra, dunque, come un organismo vivo, “Creatura di creature”. Per realizzare questa grandiosa utopia egli ha profuso senza risparmio tutte le sue energie fino al sacrificio della vita. L’impegno socio-politico degli anni cinquanta-sessanta È andato gradualmente evolvendo in lavoro prevalentemente maieutico-educativo, per cui si spostava continuamente da una città all’altra, in Italia e in altri Paesi europei, volando oltreoceano per tenere seminari di studio su argomenti di attualità e cultura. In questi incontri non erano importanti tanto gli argomenti quanto il collaudato metodo della maieutica, che aveva appreso da Socrate, depurandolo dall’ironia, giudicata del tutto inopportuna e paralizzante. Ogni interlocutore doveva offrire il suo contributo alla discussione e alla ricerca della verità pur mutevole ma sempre perfettibile. Nel corso dei seminari era quello che interveniva di meno: preferiva far parlare gli altri, soprattutto i giovani, valorizzando gli interventi di ciascuno. Una volta creato l’ambiente adatto, nessuno si sottraeva al dovere di portare il proprio contributo tra lo stupore degli stessi docenti, che non senza emozione scoprivano lati sconosciuti e importanti degli studenti, con i quali si ricostruiva gradualmente un rapporto nuovo e fecondo dopo ogni incontro. Non pochi genitori, emozionatissimi, ringraziavano Danilo, perchè i figli finalmente si aprivano in famiglia, dopo anni di silenzi e incomprensioni. Ho visto piangere di gioia una professoressa dopo aver sentito un ragazzo parlare a lungo senza balbettare neppure una volta, lui che non riusciva a leggere neppure un rigo senza incespicare.
Alla sua morte la stampa e le emittenti radiotelevisive di tutto il mondo ricordarono le lotte nonviolente, i primi digiuni fatti in Italia e gli scioperi alla rovescia, ma tutto il lavoro educativo pur documentato nelle pubblicazioni apparse dagli anni ottanta alla morte passò sotto silenzio, un silenzio che deve far riflettere tutti quanti hanno avuto la fortuna di collaborare con Danilo o di incontrarlo anche una sola volta.